Vip al volante, pericolo costante

Ogni tanto per lavoro mi tocca andare a Milano. Così, invece di saltare a bordo della solita giostra con i cavallucci che parlano in dialetto romano, girando instancabili tra Furio Camillo e Ottaviano, a volte mi trovo a fare un percorso un po’ più lungo, che tocca Termini, Stazione Centrale e poi fermate esotiche come Cadorna, Garibaldi o Porta Genova.

A Milano – chiederete voi – la metro è più regolare, precisa, civilizzata, in una parola vivibile? Direi di sì, ma non è questa la caratteristica che mi affascina di più dell’ambiente underground meneghino. A me, ciò che piace della metro di Milano è che dentro ai vagoni c’è Giovanni Allevi. Giuro, sta dappertutto, o almeno ovunque vada io.

E la cosa mi fa troppo ridere perché – voglio dire – non è che a Roma sali a bordo e trovi Venditti, Baglioni o la Mannoia, ma piuttosto tipi con la fisarmonica, il violino e l’amplificatore del “CantaTu”.

A Milano, invece, trovi Giovanni Allevi (detto con nome e cognome tutto attaccato, come Gianni Morandi.)

Ora, magari i milanesi mi smentiranno, ma io in questi giorni l’ho incontrato talmente tanto spesso, che ormai so come si comporta, quello che fa, so pure quando sale e quando scende.

In pratica, Giovanni Allevi in metro è uno di noi: paga il biglietto, cerca di mettersi a sedere ma se c’è una persona anziana le cede il posto e, soprattutto, se tu gli parli, lui ti risponde, attaccandoti dei pipponi che non finiscono più, come il classico vecchietto in pensione con l’impellente bisogno di raccontarti la propria vita in tre fermate.

Ora, già in partenza io non sono ‘sta grande fan di Giovanni Allevi. Se poi ci aggiungiamo la potenza del pippone senile non richiesto, capirete bene perché quando lo incontro me ne tenga ben alla larga e rimanga a godermi lo spettacolo di quelli che – ignari – si avvicinano per chiedergli un autografo.

Li vedi timidi, insicuri ma curiosi abbastanza per avvicinarsi: alzano il ditino, si lasciano incoraggiare dal suo sorriso e chiedono la cortesia suprema. Immaginatevi lo stupore dei singoli, quando il prode Giovanni Allevi non solo si limita a fare il benedetto autografo e magari anche il selfie di rito, ma inizia a raccontare i fatti suoi.

E parla, parla. Dio, se parla.

Lo sento parlare della sua famiglia, di cosa ha provato quando ha scritto quel certo brano, persino di cosa ha mangiato a cena la sera prima. E, vi dirò, ogni volta non so mai decidere se l’elemento più divertente della scena è lui che racconta il suo privato – cioé, diciamolo pure, i cazzi suoi – o le espressioni imbarazzate dei singoli malcapitati che, pur volendo in origine solo un autografo, si trovano imbarazzatissimi a non sapere come sfanculare l’artista prima che arrivi la loro fermata.

Ora, magari, questo sembra il classico aneddoto in cui alla fine ci penso io a sfanculare Giovanni Allevi. Vi dirò, la cosa non mi disturberebbe affatto, ma purtroppo quel giorno non è ancora arrivato. Un po’ perché non mi passerebbe neanche per la contraccassa del cervelletto di rivolgergli la parola. Un po’ perché la mia casistica di incontri metropolitani con i vip non è positiva, quindi non ho affatto la certezza di riuscire a portare a termine la missione.

Non ci credete? Pensate che sia il classico esempio di scarsa autostima?

Datemi un istante e seguite con attenzione questo excursus cronologico, poi vediamo chi ha ragione.

Settembre 2007:

stadio olimpico gremito, il concerto di Madonna sta per finire. Dato che la mia amica Laura ed io dobbiamo urgentemente recarci altrove, decidiamo di uscire un attimo prima del fischio finale (...avrei detto dei bis, ma abbiamo tristemente scoperto l’anno prima che quella tirchia di Madonna non ne fa.)

Iniziamo a scapicollarci verso la fermata del 628 giusto fuori lo stadio, quando sentiamo un rombo alle nostre spalle. Il boato sordo e minaccioso anticipa la comparsa di un enorme suv nero coi vetri oscurati, che ci punta spietato alla velocità autostradale di almeno 130 km/h. Va talmente veloce che non facciamo in tempo a toglierci dalla strada, dobbiamo aggrapparci alla prima siepe che troviamo per non finirci sotto. Il fulmineo passaggio davanti al nostro naso dello spietato veicolo ci permette di rispondere alla domanda: “Chi è il morammazzato nascosto dentro ‘sto suv de mmerda?

Madonna. Investite in macchina da Madonna.

Ecco, così imparo a spendere uno sproposito per andare a sentire una che canta in playback.

(…basterebbe questo a spiegare perché non mi avvicino a Giovanni Allevi, ma mica è finita qui.)

Maggio 2009:

sempre Stadio Olimpico, ma stavolta lato tennis. È appena finita una intensa giornata di partite degli Internazionali d’Italia in cui io – come da tradizione – ho inneggiato al divino Federer, mi sono accanita contro il robotico Nadal e mi sono beccata un’insolazione. In pratica, sono distrutta e mi avvio verso la medesima fermata del 628 di cui sopra con la disperata voglia di raggiungere casa.

Mentre cammino con fare alienato, sento uno strano sibilo farsi sempre più presente alle mie spalle. Ciò che ricordo dopo è Stan Wawrinka che mi chiede se sto bene.

Cosa è successo nel mentre? A quanto pare, mi ha investito con la sua automobilina da golf mentre tornava verso gli spogliatoi.

(Visto che la statistica sembra affermare che un vip e un mezzo di trasporto nei miei paraggi equivalgono per me a un trauma fisico, ecco un altro buon motivo per non avvicinarsi a Giovanni Allevi… ma non è ancora finita.)

Settembre 2010:

Battery Park, New York. Alla fine di una folle settimana di vacanza, le amiche ed io stiamo per prendere un elicottero che ci farà fare il giro sulla baia della città che non dorme mai. È tutto pronto, stiamo per salire a bordo, ma all’improvviso arrivano le forze armate a bloccare l’imbarco. Eh, le forze armate.

E chi cazzo è arrivato, direte voi proprio come abbiamo detto noi, a rompere le balle? Obama? No.

Da un suv nero e con i vetri oscurati (molto simile a quello di Madonna, ora che ci penso) vediamo uscire una roba infinita, dalla pelle scura e dai riccioli d’oro. Questa roba infinita, che a me sembra anche più infinita di quanto sia in realtà perché sto seduta per terra, si muove spedita su dei tacchi a spillo che più a spillo non si può. Va verso l’imbarco degli elicotteri fiera e a testa alta, talmente tanto alta che non mi vede e mi calpesta. Io ci provo pure a spostarmi prima e a protestare poi, ma le facce incazzose delle forze dell’ordine e di suo marito che la seguono a pochi metri di distanza mi fanno passare la voglia di fare alcunché.

D’altronde… come cazzo fai a mandare affanculo Beyoncè? Che accidenti gli puoi dire a una che canta All the single ladies in mutande e sui trampoli in uno stadio di football gremito di milioni di persone, quando io al massimo gracchio Smoke in the water in anfibi e scafandro davanti alle 15 persone del Cantine? Niente, anche perché lei magari sorvola pure, ma Jay-Z mi apre in due gratis e senza neanche passare dal via.

Ecco dunque perché la conclusione rimane sempre la stessa: se questi sono i presupposti, Giovanni Allevi è meglio che lo lascio dove sta. Anche perché, se a vedere Beyoncè da vicino ci ho guadagnato la soddisfazione di scoprire che è piena di cellulite che la metà bastava, scoprire Giovanni Allevi più brutto di quello che appare in foto la vedo dura. Ma dura sul serio.