homo homini

Homo homini lupus

Ovvero ‘l’uomo è lupo per l’altro uomo’ (Homo homini lupus).

Allora, in pratica è andata così: alle 9.15 esco di casa per andare in redazione, alle 9.25 sto a Furio Camillo, alle 9.30 sono dentro al vagone. Fin qui tutto da copione. Poi dopo no.

Perché a San Giovanni ci arrivo alle 10, ovvero 25 minuti dopo il previsto. Impensierita, decido di scendere dal vagone ancor prima di sapere che in realtà il ritardo dipende da un banalissimo crollo del soffitto a Spagna.

Senza un piano ben preciso, provo ad attraversare a piedi Piazzale Appio.
Alle 10.10 arrivo alla fermata dell’87 di Piazza San Giovanni, ne vedo passare due, non riesco a salire, proseguo a piedi. Alle 10.20 arrivo alla fermata di Via Labicana, ne passano altri due, non salgo neanche lì, poi alle 10.30 arriva un tram.

Mi viene in mente che un tram va più veloce perché sta sui binari e non in mezzo alle macchine, quindi ci salgo sopra senza neanche vedere qual è. Tanto, quando lavori in televisione a Roma, tutte le strade portano in Prati. Casualmente, scopro che il tram ferma al Colosseo, quindi – ottimo! – mi posso riallineare con l’87.

Pazientemente, mi metto alla fermata ad aspettare che ne arrivi uno ma nel giro di un quarto d’ora sono costretta a guardarne ben due da fuori. (Erano strapieni, quindi… un cazzo, ancora una volta.)

A un certo punto, però, io e quelli che stanno aspettando insieme cominciamo a capire (vedi che Darwin proprio coglione non era) che se spingi, ma se spingi forte sul serio, un posto lo trovi, quindi vaffanculo: spingiamo!

Alle 10.40 finalmente conquisto il mio posto al sole su un 87.

A bordo conosco tante, tante persone: alcune simpatiche, altre meno. Alcune le insulto, altre le aiuto con lo smartphone, altre ci parlo in spagnolo perché mi va di fare pratica e loro sono evidentemente sudamericane, quindi perché no. Alla fine, alle 11:00 in punto l’87 ferma davanti alla porta del mio ufficio: prima di entrare, scendo a comprarmi una bottiglia di acqua ghiacciata perché quando ci vuole ci vuole… a quel punto un minuto di ritardo in più su un’ora e quarto complessiva, cazzo vuoi che cambi?

Facendo due conti, ci ho messo un’ora e tre quarti per fare un tragitto che normalmente compio in quaranta minuti, perché vivo in una città dove, se ti dice male, può essere che dentro la metro crolli il soffitto. Per carità, anche un po’ meno lamentele, visto che a Londra e Madrid a volte ci scoppiano le bombe, però – date le scene che ho vissuto – secondo me non è un caso che Plauto fosse di queste parti e che pure Hobbes all’epoca sua una visitina l’avesse fatta.

Già che ci siamo, all’occorrenza potrei andare a ripassarmi Il Leviatano.
Magari trovo l’idea che fa al caso mio.