uccelli di rovo rossella

Uccelli di rovo con Rossella

Ogni tanto tra noi frequentat-tori del web ci si incontra, ci si trova simpatici, ci si scambia aneddoti divertenti e – se si è fortunati – anche qualche chicca da intenditore.

Come questa che, davanti a uno spritz di quelli che solo il Signore manda, mi sta raccontando Rossella, collega del mondo 2.0 in qualità di esimia foodblogger, nonché super esperta di viaggi (come me!).

“Non ci crederai mai, Giulia!”, mi dice. “Ero sul 64…”
“Ahia!”
“Sì, esatto: proprio il 64… E sono sicura che tu, essendo un’autorità in materia, non hai bisogno di ragguagli su che tipo di autobus sia, no?”
“L’ascensore per l’inferno? L’anticamera della follia? Un immortale nemico da sconfiggere?”
“…Uno schifo.”

(Ecco. Sintesi batte Poesia 6-1, 6-0. Daje, Rossella!)

“Con questa premessa, puoi immaginare la disposizione d’animo con cui sono salita a bordo e ho iniziato a sperare di arrivare a destinazione in centro sana e salva.”
“Rossella, chi meglio di me?”

Prima di riprendere a parlare, Rossella fa una pausa, sorseggia lo spritz e poi prende un lungo respiro che mi fa intuire il peso specifico dell’aneddoto in arrivo. Non sto più nella pelle… e mi sento anche un filo meno sola.

“Arrivati all’altezza di San Pietro, l’autista apre le porte come il protocollo gli impone ogni qual volta ci siano passeggeri intenzionati a salire.”
“Mi sembra sacrosanto”, annuisco, sapendo quanto spesso in realtà ciò non accada.
“Già… Solo che poi all’improvviso le richiude”.

Appunto. 

“Ma perché?”
“Perché stava per entrare un ragazzo di colore.”

Ora, di insulti volanti ne ho sentiti, di intimidazioni ne ho viste, ho assistito persino a delle risse.
Ma, giuro, la selezione razziale alla porta ancora mi mancava.Ho già paura.

(Attaccherei una discreta filippica su una poesia che ho imparato alle elementari… Parlava di un bambino nero di nome Jim Crow che, a causa delle leggi razziali, sull’autobus era costretto a sedersi nei posti in fondo. Mi rendo conto, però, che svierei un po’ troppo la conversazione e potrei – che è peggio – annoiare Rossella a morte, quindi scelgo di tacere e di continuare ad ascoltare il racconto.)

“Mentre qualcuno inizia a borbottare e a far sentire il proprio dissenso nei confronti di quel gesto incommentabile, ci rendiamo conto che l’autista ha lasciato aperta la porta anteriore. Se ne sta lì a sbracciarsi, facendo segno a qualcuno di salire in fretta a bordo.”
“Era bianco?”

“No. Era un prete.”

Ve lo giuro, non so come reagire. Nel giro di pochi secondi mi viene da piangere, mi viene da ridere, mi viene da sbattere la testa al muro… Ma soprattutto mi viene una gran voglia di sapere come va a finire questa storia, perché dallo sguardo di Rossella si capisce che la parte migliore non me l’ha ancora raccontata.

Bevo un lungo sorso di spritz, mi appoggio comodamente contro lo schienale della poltrona e aspetto il gran finale.
(…che, me lo sento, è in arrivo.)

“Salga a bordo, padre… Venga, la prego… Lo dovevi sentire, Giulia. Era diventato all’improvviso il più gentile componente di tutta l’ATAC.”
“Un autista gentile? È un’immagine così potente che quasi non riesco a visualizzarla… Una contraddizione in termini, un ossimoro.”
“…Un miracolo, direi, data la situazione.”

(E per la seconda volta, Sintesi batte Poesia 6-1, 6-0. E Rossella ha fatto pure la battuta!)

“Insomma, per farla breve: abbiamo visto il prete salire, ringraziare il conducente e avviarsi alla ricerca di un posto a sedere. Qualcosa, però, lo ha bloccato.”
“Cosa?”
“L’autista?”
“Eh?”
“Eh.”
“Ma davvero?”
“Davvero.”

(Facciamola finita con questo dialogo surreale, sennò finisce che ci trasformiamo in Totò e Peppino.)

“Scusa, Rossella… ma perché?!”

Mai domanda così banale ha avuto risposta tanto pirotecnica.
A quanto pare, l’autista era in preda al rimorso di coscienza più totale.
A quanto pare, non riusciva più a convivere con il peso della colpa annidato nel suo cuore.
A quanto pare, per recuperare il sonno e il senno, a qualcuno lo doveva pur dire… che aveva ripetutamente cornificato la moglie!
E quindi, ha deciso di farlo proprio in quel preciso istante…
Dopo aver lasciato un ragazzo di colore fuori dal suo autobus…
Con un prete che si aggirava nei pressi del Vaticano…
E davanti a una trentina di passeggeri sconvolti.

Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti”, echeggia la voce del prete nel racconto di Rossella, ormai giunto alla sua conclusione.

(Sì. Lo so.
Lo so che volete sapere chi fosse la svergognata con cui l’autista ha commesso l’indegno atto. Lo so che vi state chiedendo se si trattasse di una badante dell’est, o di una ballerina di salsa e merengue, o della vicina del piano di sopra o magari persino di un aitante vigile del fuoco di Roma Ovest.

Il fatto, però, è che Rossella e io non ve lo possiamo svelare.
Voglio dire… e se poi tra voi che leggete c’è il suddetto autista? O, peggio mi sento, la povera moglie?

Dài, su, siate comprensivi: il segreto professionale non serve mica solo a medici e avvocati, in fin dei conti!)