un anno sotto la metro

Un anno sotto la metro

Momento (quasi) serio.

Forse non tutti lo sanno, ma Giulia sotto la metro è nato in embrione ad agosto del 2015 in un giorno in cui, trovandomi con una banconota da cinquanta euro, una moneta da cinquanta centesimi e senza la possibilità di comprare il biglietto della metro in altro modo, mi sono ritrovata a elemosinare cinquanta centesimi ai passeggeri che transitavano ai tornelli di Furio Camillo.

Impresa impossibile, oltreché abbastanza umiliante, perché nessuno credeva alla mia reale necessità e tutti pensavano che fossi una mendicante. Ben vestita e con l’iPhone, ma pur sempre una mendicante e dunque da allontanare.

Com’è naturale quando si viene toccati nei nostri bisogni più personali ed egoistici, sul momento mi sono alquanto incazzata.

Poi, però, ho cambiato idea.

Perché ciò che ho imparato nelle mattine successive è che effettivamente sotto la metro è pieno di gente dall’aspetto dignitoso che finge di chiedere i soldi per un biglietto, quando invece sta letteralmente elemosinando.

Probabilmente perché questa realtà mi ha creato un problema e messo discretamente in difficoltà quel giorno, nel momento in cui l’ho colta ho iniziato ad avere un atteggiamento ostile nei confronti di dette persone. Quelle stesse persone che – credendo si trovassero nella mia stessa situazione – all’inizio avevo ripetutamente aiutato.

Riconosco la rigidità del mio atteggiamento, ma la frode non mi va giù. Soprattutto da parte di una signora dall’aspetto assolutamente normale che ha stazionato a Furio Camillo per mesi e mesi chiedendo sempre i soliti cinquanta centesimi per fare un biglietto e a cui ridendo e scherzando – convinta della sua buona fede – avrò dato dieci euro. Pochi, per carità, ma ripeto: è la frode che mi indispettisce, soprattutto perché mette in difficoltà chi ha realmente bisogno di fare il biglietto e finisce per rimanere schiacciato dalla diffidenza altrui.

A un certo punto, questa signora è sparita da Furio Camillo e io ho sperato che suo marito avesse ritrovato il lavoro, o che avesse iniziato a percepire un nuovo sussidio di disoccupazione, o ancora che il parente malato per cui servivano i soldi fosse finalmente guarito.

Errore.

A maggio 2016, per questioni logistiche, ho iniziato a prendere la metro a Re di Roma. E indovina un po’ chi ho trovato sotto le scale a chiedere cinquanta centesimi per fare il biglietto?

Ecco. Bravi!

Il senso di frode è aumentato ulteriormente, perché evidentemente a Furio Camillo le persone non le credevano più e quindi ha dovuto cambiare fermata. Solo che, mentre io la riconosco benissimo ancora oggi, lei naturalmente non si ricorda di me, nonostante le sia passata davanti ogni mattina per mesi e abbia risposto ogni santo giorno nello stesso modo alla sua richiesta: “No signora, mi dispiace, ma non ho soldi spicci”.

Così, quando l’ho vista a Re di Roma, per alcuni giorni ho ripreso il vecchio script.

Al quarto giorno, però, mi sono sentita motivata dal tono stizzito di una ragazza davanti a me che, alla sua mite ma tenace richiesta di cinquanta centesimi per un biglietto, ha risposto: “Eh no, signò, pure oggi no!”.

Perciò ho preso coraggio, e quando lei mi ha chiesto: “A signorì, che ce l’ha cinquanta centesimi pe’ ffa er bijetto alla macchinetta? Sto senza spicci…”, io ho risposto: “Eh no, signò, non ce l’ho! Me l’ha chiesti pe’ ’na vita a Furio Camillo… E mo’ che entro a Re di Roma che fa, se sposta?!”.

“Eeeh, a Furio Camillo…”, mi risponde la signora con aria seccata. “Ma signorì, quello era un anno fa!”

“Lo so bene, signo’, che era un anno fa… Me creda, me sa che lo so mejo de tutti!”

Probabilmente la signora non è su Facebook, magari non sa che in fondo siamo tutti Giulia e di certo non capirà mai realmente quello che le ho detto. A me però questa storia sembrava il modo migliore per celebrare i miei primi (quasi) 365 giorni da narratrice metropolitana.