chi chiamerai

…e chi chiamerai?

Inizio di marzo, primavera anticipata, cinguettio di uccellini e fiori di pesco sugli alberi di Pasqua (…cazzo è? Boh, ancora non sono sicura di averlo capito bene ma nel 2016 è stato un vero trend, dunque mi sentirei una sfigata a non menzionarlo.)

(…Ah, L’ironia nel tono di lettura di quest’ultima frase ovviamente sta a voi.)

Dicevamo.

Tutto è così piacevole che persino scendere in metro di sabato pomeriggio per fare una discreta traversata da Ottaviano a Palasport passando per Termini non mi risulta pesante. Anzi, entro, trovo posto a sedere e, non appena metto a fuoco il soggetto seduto davanti a me, capisco che ho l’opportunità di assistere a un momento di grande classe.

A livello descrittivo, l’unico paragone che mi sento in grado di offrire è il seguente: Maga Magó in tuta, pessimo odore e zoccoli Crocs (finti, per forza di cose). Ha con sé delle sporte della spesa piene di dio solo sa cosa e, nel giro di tre fermate, riesce a mettere in fuga tutti i malcapitati che tentano via via di sedersi accanto a lei.

Motivo? Parla. Anzi, per meglio dire urla: contro nessuno in particolare, o forse contro tutto il vagone, ha lo sguardo perso nel vuoto e sembra essere nel bel mezzo di un flusso di coscienza iniziato chissà quando.

(Forse a Battistini, uscita lato sinistro.)

“Te pozza piglia’ le pasticche che me pijo io, ecco! Pe’ mme puoi annà pure ar mare, sè… pure a Ostia! Ma er fatto è che io c’ho bisogno de medicine, perché so’ debbole, e quindi me tocca chiedele…”

Non saprei dire perché, ma ho come la sensazione che dietro a questo suo sfogo (…come definirlo?) borderline ci sia qualcosa di vero.

Figlio noncurante, mutua nonpagante, terapie nonostante….

Non lo so, ma questa donna mi sta convincendo: vai a capire con chi cazzo parla, perché ahimè nessuno può vedere il suo trasparente interlocutore, ma io le credo.

Voglio crederle, perché altrimenti dovrei prendere in considerazione l’esistenza di minacciosi fantasmi tipo Zuul di Ghostbusters o Vigo il Carpatico di Ghostbusters 2 e questo per me significherebbe un reale pericolo, quel tipo di pericolo da cui potrei salvarmi solo grazie a uno zaino con tubo fotonico e tostapane lanciabile per intrappolare il nemico.

Lo zaino fotonico, ovviamente, non ce l’ho quindi spero di cuore che Maga Magó sia solo un pochino fulminata e basta.

(Per gli integralisti nerd e cinefili enciclopedici, lo so che quelli non sono i nomi corretti degli strumenti sopra citati, ma ho delle esigenze narrative che non posso ignorare. Sorry.)

Guardo negli occhi la signora Magó, le sue buste, le sue Crocs cinesi e attendo che la filippica riparta. Così è, infatti: ci mette sì e no trenta secondi.

“Eh? Come? Ah sì… Lo conosco! Ce so’ stata là, come no: ce so’ stata co’ mi’ nonno, avoja!”

Pausa. Riflessione. Rettifica.

“Ma che che cazzo sto a dì?” Ah, non lo so bella mia. Se non lo sai te… “Ma se mi’ nonno nun sa fa’ manco ‘n ovo!”

E a quel punto mi verrebbe da far notare alla signora Magó che sicuramente suo nonno non è uno chef stellato, ma se è vivo ancora adesso e se lei ha i 75 anni che sembra avere, io un pensierino a metterlo al museo sotto spirito ce lo farei. Così, scanso equivoci, ecco.

L’amica Maga sta per ripartire con il monologo, quando tra me e lei si interpongono due inattesi personaggi.

Uno è un uomo di una quarantina d’anni: è di carnagione olivastra, se volete saperlo, ma non chiedetemene la provenienza perché brancolo nel buio più totale. Probabilmente, perché obnubilata dal fetore assassino che le sue ascelle emanano e che già mi sta facendo rimpiangere le ectoplasmiche urla della signora Magó dietro di lui.

La seconda, invece, è una tipa normale, vestita normale, con un grado di igiene (apparentemente) normale, che stringe in mano un bicchiere di carta da bibita grande e pieno di monetine di ogni taglio.

Lo agita, si guarda intorno come ad esaminare la situazione e il vero interrogativo di tutti noi che la osserviamo interdetti è: “Ma ‘sti spicci me li stai pe’ dà a me o so’ io che ne devo dà qualcun altro a te? Perché mica è chiaro, sa’?”

Il sospetto che una bella invasione di soggetti da analizzare scientificamente stia interessando la metro A è forte. E temo di non essere l’unica a pensarlo.

“Aho, la sóra Vittoria diceva sempre: lassali perde, so’ creature…” Sta mormorando tra sè e sè Maga Magò, che poi conclude alzando il tono di voce: “A sóra Vittó, e ho capito che so’ creature… ma mò hanno proprio rotto li cojoni!!!”

È con grande rammarico che, proprio in seguito a questo exploit, mi trovo a scendere in quel di Termini, nonostante vorrei tanto sapere come a va finire l’invasione degli schizzati…

Mentre esco dalla porta centrale del vagone, però, passo davanti a un ragazzo che parla al cellulare: “Oh bello, senti qua ché sto in metro: la vuoi una storia particolare? Prendi una penna e scrivi…”

Lo fulmino con gli occhi che manco Nonno Laser: “Fatica sprecata, tesoro caro. L’ho scritta prima io.”

Tasto “pubblica”: invio.