disavventure sulle scale mobili

5 disavventure sulle scale mobili

Ovvero: mettere un piede dopo l’altro su dei gradini sembra un’azione elementare, ma spesso non lo è.

1. La bella addormentata

Quando è mattina, si è ancora mezzi addormentati e magari fa anche un freddo cane, c’è solo un’ingenua speranza a cui aggrapparsi per sopravvivere: l’utopia di arrivare a lavoro sani e salvi, possibilmente non in ritardo. A volte, però, lungo il cammino si incontrano degli ostacoli insormontabili.

È il caso della signora svampita che, assorta nel suo felice paese delle meraviglie, se ne sta impalata nel bel mezzo di un gradino della scala mobile e non si accorge che tutti attorno a lei stanno scendendo le scale due alla volta. Rimane dov’è, con l’aria di chi non vuole affatto accettare l’evidenza di una metro in arrivo; così, il soggetto intenzionato a non arrivare tardi in ufficio è costretto a spingerla da un lato per riuscire a passare e poi a saltar via gli ultimi due gradini. La signora non sa perché ciò accada e non sa neanche spiegarsi come mai la metro le abbia chiuso le porte in faccia al suo arrivo sulla banchina.

Gli altri che prima correvano, nel frattempo, sono entrati. Il soggetto intenzionato a non far tardi, invece no. E non può che rimanere sulla banchina accanto alla signora di cui sopra, maledicendola in silenzio.

(Da una storia realmente accaduta a Giulia sotto la metro.)

2. La geografia, questa sconosciuta

La logica vorrebbe che, all’atto di salire o scendere una scala mobile, si unisca la consapevolezza di dover modellare il proprio comportamento secondo due direttive: o si scende a passo rapido a sinistra, o ci si ferma su un gradino a destra.

Non sempre, però, questo concetto è universalmente condiviso. C’è infatti chi pensa che questa divisione sia rispettata unicamente all’interno del continente europeo, dunque non da noi italiani.

“Qua non siamo in Europa e la scala mobile si prende a cazzo di cane.” ha dichiarato recentemente un passeggero diretto verso la banchina della fermata di Jonio.

Nasce spontanea, a questo punto, la richiesta di affissione di vari cartelli esplicativi nelle fermate.

Già, ma cosa dovrebbe esserci scritto su questi cartelli: “Si prega di sostare sulla destra” o “L’Italia si trova in Europa?”

(Da una storia realmente accaduta alla nostra lettrice Sandra S.)

3. Nozioni basilari di ostetricia

In alcune stazioni può capitare che, già dagli ultimi gradini della scala mobile, si riesca a vedere quello che ci attende sulla banchina. Se si è fortunati, questo consente una rosea panoramica del proprio futuro immediato; altrimenti — e questo accade nella maggior parte dei casi — ci spinge a metterci l’anima in pace riguardo al delirio che ci attende.

Proprio mentre il viaggio sulla scala sta terminando, si può avere la violenta visione di una metro in partenza: strapiena, turbolenta, temibile. Ed è lì che ci si può accorgere di una signora che cerca disperatamente di tirare il proprio figlio fuori dalla ressa afferrandolo per le spalle. La signora urla forte, digrigna i denti, respira a fatica. Ed è lì che alcuni illuminati potrebbero andare incontro alla visione che cambierà loro la vita, a una consapevolezza che non tutti possono custodire.

È in un momento come quello che si capisce da da un treno i passeggeri non escono. Vengono partoriti.

(Da una storia realmente accaduta al nostro lettore Domenico A.)

4. Borsa (non) abbandonata

Trattasi di caso limite, ma da analizzare perché il lettore sia preparato all’evenienza. Il dialogo che lo annuncia proviene dalla scala mobile accanto e inizia con le urla inferocite di una signora di mezz’età e decisamente male in arnese.

“No! Io non mi sposto, capito? Io qua sto e qua resto, semmai dal cazzo ti ci levi tu, capito?”

Perché la signora si dovrebbe spostare? Chi è il folle che ha deciso di mettersi a questionare con un caterpillar urbano di tali livelli? Domande legittime: vediamo di capire meglio.

“Signora, ma scusi è che lei che si trova dal lato sinistro, se la gente vuole passare deve spostarsi lei, non io. Io sto a destra, è qui che devo stare!”

Il ragionamento con cui la giovane interlocutrice risponde non fa una piega (vedi sopra), ma non basta ad arrestare la furia della signora che indica un grande borsone poggiato ai suoi piedi.

“A bella, sai che cazzo me ne frega a me che tu stai a destra? La vedi ‘sta borsa, bella?”

“Eh, occupa tutta la scala: la vedo si… stiamo discutendo apposta!”

“Ah, la vedi, eh? Beh calcola che ‘sta borsa è casa mia! Hai capito? Casa mia!”

“Non lo metto in dubbio, signora. Se lei non la sposta, però, le persone come fanno a passare?”

Tentativo di dialogo lodevole, ma inutile.

“Io nun sposto proprio niente, bella! Proprio niente! Perché so’ du’ mesi che sto pe’ strada… non c’ho un letto pe’ dormì, ‘na casa… un cazzo, c’ho! Dentro a ‘sta borsa ce stanno le coperte, i vestiti, er fornello da campo… e io nun la sposto manco se viene giù er Padreterno. Hai capito?”

Forse la signora non pensa realmente ciò che ha detto, ma non si può non vedere una forma di intervento divino nel fatto che la borsa, al termine della scala mobile, si scontri con la fine del rullo, sbatta da un lato e si apra lasciando fuoriuscire tutto il contenuto: coperte, vestiti e fornello da campo rotolano a terra, mentre tutt’intorno è un turbinio di “vaffanculo!”, “stronza!”, “la borsa è casa mia!” e compagnia cantando.

In quel caso, dato che il viaggio sulla scala mobile è giunto al termine anche per chi osserva in silenzio, è consigliabile far finta di niente, tirare dritto e non voltarsi mai più indietro.

(Da una storia realmente accaduta a Giulia sotto la metro.)

5. La tragedia

La scala mobile è un congegno con il naturale talento di attrarre irrimediabilmente l’attenzione dei bambini. Per quanto le mamme si affannino a ricordare loro quanto sia pericolosa e ad ammonirli di badare a dove mettano mani e piedi, spesso non basta.

A volte, il fascino proibito della scala mobile ha la meglio.

È il caso di un bambino di circa tre anni con un’adorabile salopette rossa, che se ne sta buono buono al fianco della mamma. I due si tengono teneramente per mano.

Come a voler confermare l’assunto di cui sopra, però, il bimbo si guarda intorno. Qualcosa ha attirato la sua attenzione: si tratta di un ragazzo che, un po’ più in in basso, se ne sta comodamente seduto su uno dei gradini della scala.

“Beato lui, che si riposa…” sembra pensare il bimbo che, quatto e felino come un ninjia, lo emula prontamente senza mai abbandonare la mano della mamma. Risultato: il cucciolo sorride felice, accucciato anche lui sul suo gradino, ma la madre non si è accorta di nulla.

E ciò è male, in quanto la poverina non ha l’opportunità di dirgli che al momento opportuno dovrà alzarsi. Di conseguenza, il bimbo non si alza quando dovrebbe e la scala mobile lo inghiotte.

Letteralmente.

Per rispetto di chi legge, omettiamo i dettagli del modo in cui la scala mobile sgranocchia il povero bambino; per dovere di cronaca, però, riferiamo del gruppetto di persone che si accalcano all’istante verso la scala mobile per cercare di capire come funziona il pulsante per bloccarla.

Ci mettono un po’, ma alla fine ci riescono. La scala si ferma, il bambino viene liberato dalle ganasce acuminate dell’indiavolato marchingegno e, in seguito, viene portato al pronto soccorso.

Qual è la morale della favola di quest’ultima situazione? Che effettivamente salire su una scala mobile non è sempre un’azione elementare, che i bambini trovano sempre il sistema di farsi male ma soprattutto che le mamme hanno sempre ragione. Ma sempre, eh.

(Da una storia realmente accaduta al nostro amico e lettore Fabio M.)