tagadà

Tagadà – La7 (28.11.2017)

[iframe width=”100%” height=”100%” src=”https://www.youtube.com/embed/eATAidm1ulA?rel=0&controls=0″]

Questa mattina mio marito Giuliano, cellulare alla mano sulle notizie del giorno mentre il caffè ancora fumava nella tazza, mi ha chiesto:
“Secondo te come si sentirà Gattuso rientrando a San Siro da allenatore del Milan?”
Sul momento non ho saputo rispondere, ora invece lo so.
Perché secondo me quello che ha provato lui non deve essere stato molto da diverso da quello che ho provato io oggi pomeriggio.
Dopo 13 anni di onorato servizio come autrice televisiva, per la prima volta sono stata invitata a partecipare come ospite ad una trasmissione, Tagadà.
(A parlare di me, poi: assurdo.)

Proprio come Gattuso al Milan, nello stesso network dove ho lavorato per un bel po’, in mezzo a colleghi con cui ho condiviso gioie e dolori dentro e fuori dal campo.
Pardon, dallo studio.
Proprio come Gattuso, nel mio centrocampo autoriale qualche anno fa correvo sbuffando avanti e indietro, smistando cassette e copioni agli attaccanti che avrebbero dovuto segnare.
O condurre, nel mio caso.

Proprio come Gattuso, sono tornata in campo: lui dalla panchina, a guidare la squadra in cui ha militato per una vita; io in studio, a parlare di un progetto in cui metto in gioco la mia vita stessa.
(O almeno, quella parte in cui prendo la metro e smadonno insieme a centinaia di romani provati dal trasporto pubblico cittadino.)

Ero terrorizzata, come mi ci gioco la testa che sarà anche Gattuso al suo debutto, ma nel momento esatto in cui è iniziata la mia intervista tutto è cambiato.
Mi sono guardata intorno e ho visto volti familiari.
Mi sono resa conto di dover fare quello che per anni ho detto di fare ad altri, che si sono seduti dove mi trovavo io.
E ho capito che ero riuscita a tornare a casa, pur entrando dall’altra parte.
Non più dietro alla telecamera, ma – per una volta – davanti.
Forse per Gattuso sarà l’esatto contrario – non più in campo, ma in panchina – ma la sostanza non cambia.

Perché quando dedichi la tua vita intera a una passione, e sei così fortunato da renderla il tuo lavoro, ti ci puoi anche mettere a fare altro.
E magari ci riesci anche.
Ma tanto è sempre lì che vuoi tornare: allo stadio, in televisione. In una parola, a casa.

La gioia è difficile da tradurre in gol, ma ci tengo a ringraziare a tutti coloro che hanno permesso questa piccola, personalissima magia.
Non vi elenco, perché siete tantissimi, ma tutti voi sapete chi siete.