DAY 6 – Non è tutto oro quel che luccica (seconda parte)

DAY 6 – Non è tutto oro quel che luccica (seconda parte)

Sempre al sesto giorno di permanenza a Milano, nel volenteroso tentativo di andare a visitare le meraviglie di City Life, un mio vecchio amico ed io ne abbiamo già passate di cotte e di crude: mi sono imbucata a un tornello, siamo stati depistati da dei maligni addetti alla sicurezza, abbiamo perso una corsa per far entrare i passeggeri in fila prima di noi e ho incredibilmente iniziato a sentire una terribile nostalgia della mia adorata metro A.

A quel punto, proprio quando il miraggio della visita a City Life inizia a farsi sempre più labile e sfumato, una seconda metro arriva a salvare il mio amico e me. Per poco, però, dato che alla prima curva a cui andiamo incontro segue una frenata a dir poco brusca che mi fa perdere l’equilibrio.

Da brava frequentatrice della metro di Roma, a cui questi imprevisti capitano un minuto sì e l’altro pure, barcollo per non scivolare, quindi con scatto felino e agile mossa riesco a reggermi e persino a non cadere.

E tutto questo senza urtare nessuno.

Mi sento quasi un’eroina della patria, potrei arrivare a esultare per la performance, se non fosse che uno sguardo mi gela. Sono gli occhi di un anziano signore appoggiato a un bastone che mi guarda con sdegno.

Se non sono caduto io… sembra volermi dire, celato dietro il silenzio della sua compostezza nordica.

E allora scusa, sei mejo te… gli vorrei tanto rispondere, celata dietro gli ultimi sprazzi di dignità capitolina residua e dalla caviglia offesa.

Evito di farlo, però. Ma comunque daje a ride.

Primo: perché sono una personcina per bene e non mi va né di mancare di rispetto al signore, né di mettere a disagio il mio amico (che, da bravo milanese doc, dotato tra l’altro di uno spettacolare senso dell’umorismo, continua ad assistere a questi surreali fenomeni di matrice latina senza battere ciglio).

Secondo: perché all’improvviso mi accorgo che a bordo di questo vagone si sta verificando un’anomalia da verificare prima di subito: in questo vagone, c’è del rumore.

Attenzione.

A pochi metri da noi, una ragazza sta discutendo veementemente con suo padre per telefono. Gli dà ripetutamente del mongoloide e il suo accento è targato Cosenza o dintorni.

L’impatto, potete ben capire, è davvero forte.

Guardo il mio amico con aria imbambolata e non so spiegargli se sono felice perché finalmente anche su questa metro sono riuscita a sentirmi a casa, o se invece sono triste perché inizio a sentire nostalgia dei miei goliardici amici pendolari della capitale.

La risposta al mio dubbio arriva ratta e fulminea, nel momento in cui del trambusto scanzonato attira la mia attenzione dal centro del vagone: c’è casino, ilarità, risate.

E sono turisti, penso io.

Ma invece, no: sono romani.

E meno male che domani riparto perché – ormai l’ho capito – mi manca Roma, mi manca casa, mi manca la metro A. E ormai mi manca anche il senso dello spazio-tempo visto che, presi dalle stranezze della giornata, il mio amico e io non ci siamo accorti che  – se veramente vogliamo andare a City Life – dovevamo scendere tre fermate fa.

Mentre voi, se non ridete adesso, non ridete più.