5 tentativi di civiltà metropolitana

Ovvero: a voler essere buoni sotto la metro ci si rimette oppure no?

1) A ESSERE PAZIENTI SI PERDE IL TRENO

Come ogni mattina, la scala mobile è affollata: c’è gente che sale, gente che scende e gente che se ne sta ferma impalata (a sinistra) impedendo il passaggio a me, che sono bloccata dietro e anche un po’ in ritardo. Quando il ben noto sferragliare avvisa dell’arrivo imminente di un convoglio, intorno alla signora in questione tutti iniziano a scendere le scale due alla volta. Eppure, lei sembra non accorgersene neanche quando io – esaurita la mia notevole dose di educazione e pazienza mattutine – mi decido a spingerla da un lato, passando per saltar via gli ultimi due gradini. Ciò nonostante, quando arriva sulla banchina e vede la metro che le chiude le porte in faccia, la signora si stupisce pure.

Li ha visti, signora, gli altri che correvano e sono riusciti a entrare? Ecco. Io no.

2) A CEDERE IL POSTO SI VINCE UN CAFFE’

Quando la metro arriva a Termini, incredibilmente si liberano due posti davanti a me: in preda a un impeto di altruismo, scelgo di cederli a una signora francese e a suo marito. Seduti vicini e sorridenti (…grazie al cazzo, stanno in vacanza!), dibattono tra loro se per andare a San Pietro sia meglio scendere a Lepanto oppure a Ottaviano.

Conscia dell’importanza della questione, mi ritrovo ad interagire a seconda delle sorti della conversazione con delle espressioni facciali di assenso o dissenso, che loro notano. Alla fine – giunti a Lepanto – mi decido e consiglio loro di aspettare Ottaviano, dove scenderò anche io. Una volta fuori, il marito si avvicina e mi invita a prendere un caffè, per sdebitarsi per le indicazioni e per aver ceduto il posto.

Lui, da bravo francese, è semplicemente una persona gentile.

Io, da brava romana, penso che mi stia circuendo a fini loschi e me ne vado.

3) A INSEGNARE IL RISPETTO SI DIVENTA RAZZISTI

La metro non è particolarmente affollata, eppure anche stavolta qualcuno non riesce proprio a sentirsi in pace con il mondo.

“Ah! Questi giovani d’oggi…” dice una signora con fare molto indignato. “…La parola rispetto non sanno proprio cosa voglia dire!”

Purtroppo non riesco a capire la ragione del suo sfogo (a parte l’aver letto un qualsiasi giornale di un qualsiasi giorno di quest’anno, naturalmente); a fare chiarezza, però, ci pensa una ragazza dal look decisamente indie: “Scusi, signora… ma che ce l’ha con me? Che le ho fatto?”

“No, niente. Non sei tu.”

“Ah, meno male. Sa com’è… la metro è un posto strano, non si sa mai.”

“Lo so, infatti. La vedi quella tizia seduta laggiù? Ci dovevo stare io, seduta al posto suo.”

Chiamata in causa, la tizia in questione ci mette un attimo a risponderle a dovere, scuotendo con vigore i suoi capelli rasta da caraibica doc: “E per quale motivo ti dovrei portare rispetto?”

“Ecco, appunto.” Commenta la signora, rivolgendosi a noi mentre scuote la testa. “Perché dovrebbe? Perché sono più anziana? Forse. Ma certo non perché io sono italiana e lei no, perché dalla sua risposta si capisce subito che quella è molto, ma molto più italiana di me.

4) A CHIEDERE SCUSA SI FINISCE A LITIGARE

Nel tradizionale caos della sosta a Termini, vedo entrare un signore che muovendosi in modo un po’ strano barcolla e urta una ragazza. Lei, cellulare fra le mani e auricolari alle orecchie, a stento se ne accorge; lui, però, le porge  ugualmente le sue scuse. Quando lei le accoglie solo con un pigro cenno, lui si incazza come una iena e attacca una filippica che non finisce più: pretende che lei accetti formalmente le scuse e – si direbbe dal livore espresso – che lo ringrazi anche per avergliele fatte.

La ragazza, in pieno stato di catalessi zombi, sembra una di quelle dalla doppia opzione: o non ha capito un cazzo della faccenda o non gliene può fregare di meno. Nel dubbio, chiosa alla grandissima: “Vabbè, senti: scuse accettate e tanti cari saluti, ché sennò qua tra cinque minuti finisce che so’ io che devo chiede’ scusa a te e nun so manco bene perché.”

5)  A FARSI SCRUPOLI SI PRENDONO GLI INSULTI (IN RIMA)

O carissimo signore, che ti ergi di fronte a me,

Pressato da tutti quelli saliti a bordo insieme a te:

Dovrei alzarmi per uscire, ma di spazio non ce n’è

E tu lo sai, caro signore, perché schiacci proprio me.

A breve, ti chiederò permesso anche se

In realtà dovresti tu, amico caro, scusarti con me.

Sia come sia, tu non ti sposti: il fatto questo è.

Quindi, se passando ti calpesto, la risposta qual è:

Devo chiedere scusa io oppure te?

(Le ultime parole che gli sento dire uscendo sono: “Ahia, mortacci de te!”)