I DIECI COMANDAMENTI METROPOLITANI – DECIMO

DECIMO COMANDAMENTO:

NON DESIDERARE LO SPAZIO D’ALTRI

Vittorio Emanuele, ora di rientro serale, delirio in corso.

Si tratta di una di quelle volte in cui la calca è talmente fitta che se provi a entrare non ci riesci perché nessuno scende e a bordo non c’è neanche un centimetro quadrato di spazio residuo.

Fra i mille volti sperduti della folla sulla banchina, si fanno notare due vivaci ragazzette dall’accento meridionale che proprio non ci stanno a saltare la corsa.

“Gente, vi spostate un po’ così entriamo pure noi?”

Viva la faccia dell’intraprendenza, penso io, e rimango piacevolmente stupita di come – a forza di spintarelle e sorrisini saccenti – le due riescano a ritagliarsi uno spazietto tutto per loro. Non  è esattamente quello che si aspettavano, si direbbe dai loro sbuffi, ma data la situazione finiscono per desistere e si accomodano come possono nei pressi della porta d’ingresso.

(Un pensiero di conforto si eleva pietoso verso tutti coloro che sono rimasti a guardarci sulla banchina, come i passeggeri del Titanic osservarono le scialuppe allontanarsi tra i flutti scuri dell’oceano.)

Sobbalzando e cigolando, il treno carico come un uovo arriva a Manzoni, dove la scena si ripropone a parti invertite: sono quelli in entrata a elemosinare un po’ di spazio da chi è dentro, ma le nostre amiche, fieramente piantate per prime davanti alla porta, non accennano il minimo movimento.

Si odono borbottii caustici al loro indirizzo, immediatamente rispediti al mittente: “E che volete da noi? Se nessuno scende come facciamo a fare spazio?”

Da dentro, forse perché il buon senso ci ha aiutato a delineare le personalità delle suddette, scegliamo di tacere. Da fuori, però, una signora ben vestita e con l’aria da donna in carriera non ci pensa proprio: “Fanciulla, vedi che se tu e la tua amica vi spostate all’indietro troviamo posto per me e pure per altre dieci persone. Su, cammina ché aspetto da venti minuti e non voglio aspettare ancora.”

A questa affermazione, non segue risposta perché le porte si richiudono costringendo la signora a proseguire la sua lunga attesa.

(Nel minuto abbondante che ci porta da Manzoni a San Giovanni, le nostre amiche chiacchierano tra loro: per amor di cronaca, riporto che una delle due sta pensando di comprare casa, l’altra non si capisce bene… giurerei di aver sentito che deve comprare dei cavalli. Mi pare strano, ma tant’è. Tutto po’ esse.)

Nel nome del benessere di tutti i presenti, a San Giovanni scendono parecchie persone probabilmente dirette verso la linea C. Ciò naturalmente, crea un po’ di spazio vitale, ma non trasforma di certo il vagone in una desolata prateria del Far West: chissenefrega, sembra voler dire una ragazzetta preoccupantemente sosia di Baby K, che pur di mettersi a sedere riesce a scavalcare e calpestare chiunque con grande scorno delle altre due.

Nell’enfasi del momento, la guardano dall’alto in basso (letteralmente, intendo, perché si è seduta davanti a loro) e probabilmente se potessero le farebbero anche del male.

Forse per stemperare una certa impalpabile tensione che si è venuta a creare, un ragazzo dall’abbigliamento eccentrico e i capelli blu che è accanto a loro annuncia con voce stridula e un fintissimo accento romano: “Ma qui dentro c’è una terribile puzza di tonno! Voi non la sentite?”

Io non la sento, eppure Baby K annuncia: “Avoja, tesò! Secondo me è er cinese vicino ar palo!

Da come le nostre due amiche esuberanti scoppiano a ridere all’affermazione, direi che tra i quattro sta per nascere una bella amicizia. E mentre mi chiedo se il cinese ha capito l’importanza del ruolo che ha giocato in tutta la faccenda, non posso far altro che scolpire nella roccia il decimo e ultimo dei miei 10 comandamenti metropolitani:

NON DESIDERARE LO SPAZIO D’ALTRI

(...perché nessuno te lo concederà e se ti dice male finirai anche per puzzare di tonno.)