La metro, direbbe Forrest Gump, è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita.
A volte, entri sano e ne esci fortemente offeso. A volte, entri calmo e rilassato e ne esci con un diavolo per capello, o più precisamente impregnato di un istinto omicida che sei condannato a non sfogare (se non vuoi essere condannato in altre forme). A volte, però, entri assorto nei fatti tuoi e ne esci innamorato.
È questo il caso di Alessio, trent’anni, fuori sede da poco a Roma, che martedì 16 maggio si incammina come tutti i giorni lungo i binari della metro B, per andare da San Paolo a Termini.
(E già merita un grande applauso per il coraggio.)
Giulia sotto la metro, creatura della linea A, raramente si aggira da quelle parti ma con lo spirito e l’immaginazione le sembra di vedere Alessio con lo sguardo perso e assonnato del primo mattino. Cerca invano un posto a sedere, si accontenta di uno spicchietto di vagone in cui attendere pazientemente la fine del suo viaggio, bada a non calpestare nessuno e si chiude nel mutismo rassegnato del passeggero sulla via del lavoro.
All’improvviso, però, la scheggia impazzita, la variabile imprevista che ti svolta la giornata. C’è chi lo immagina come un raggio di luce divina che piove dal soffitto senza una vera spiegazione scientifica, c’è chi lo associa più al suono delle campane di una chiesa in festa, c’è chi tira in ballo farfalle svolazzanti nel bel mezzo dell’apparato digerente. Chiamatelo come volete, gente, ma quello che scuote Alessio dal torpore mattutino è un colpo di fulmine da manuale. Una fitta allo stomaco che neanche il Maalox saprebbe placare.
La creatura angelicata che rompe gli schemi dell’anonimo martedì mattina è sola, alta circa 1 metro e 60, ha i capelli color castano chiaro lunghi e sciolti sulle spalle, indossa dei jeans ed è assorta nell’ascolto di chissà quale canzone il suo telefono abbia deciso di proporle in quel momento. Lui la guarda dal suo cantuccio ottenuto a fatica, completo scuro e cravatta, e stenta a credere a cosa gli stia accadendo. Nel momento esatto in cui riesce a sfiorare lo sguardo di lei con i suoi occhi increduli, sente un nodo allo stomaco, come nelle favole, come in Beverly Hills 90210, ma soprattutto come non gli capitava da tempo in questa sua nuova vita a Roma, fatta di tanti pensieri, poche distrazioni e di ragazze incontrate ma mai conosciute veramente.
Sballottato dagli scossoni della metro B, che quando ci si mette sa essere più turbolenta del Brucomela, e ostacolato nel suo gioco di sguardi dalle interferenze di lavoratori, studenti, casalinghe con il carrello e musicisti ambulanti, Alessio cerca di tenere sotto controllo le emozioni ma anche un modo per comunicare alla fanciulla che lo ha stregato senza saperlo.
“Sei talmente bella” vorrebbe dirle, possibilmente senza sembrare un idiota, “da meritare il primo premio per la donna che non solo ha attratto la mia attenzione, ma che mi ha anche regalato un sorriso e un bel paio di crampi allo stomaco.”
Se solo Alessio avesse il coraggio di dirlo ad alta voce, c’è da scommetterci, in parecchi si offrirebbero volontari come Cupidi, pur senza avere la grazia e l’innocenza della Emma di Jane Austen, grande esperta in materia.
“Aho, vie’ qua che ce penso io a te” avrebbe detto il signore con la tuta da lavoro e la Gazzetta dello sport in mano. “Dimme qual è ‘sta pischella che te sta a manna’ in brodo de giuggiole e ce parlo io.”
“Passa allo sportello ché je mannamo ‘na raccomandata co’ ricevuta de ritorno.” Avrebbe proposto la signora paffutella con l’aria di chi ne ha viste troppe, che aspetta pazientemente il giorno in cui le Poste le concederanno la pensione.
“A zì, mo’ je chiedo er profilo Facebook così ce se famo ‘n serfi e ‘a taggamo!” Avrebbe sicuramente stabilito il ragazzetto con i capelli alla Errol Flynn e la maglietta di Fedez, prima di scendere per andare a scuola.
“Io canta canzone per lei, amico. Tu da’ monetina, io canta canzone. Tu scegli canzone, amico, io canta.” Avrebbe naturalmente aggiunto il musicista rom con la fisarmonica e il Canta Tu degli anni ’90.
Purtroppo, però, sopraffatto dalle emozioni, Alessio se ne resta in silenzio e nulla di tutto questo accade realmente. Proprio come nei film, ha davanti a sé la ragazza dei suoi sogni ma non riesce a raggiungerla: man mano che la fermata di Termini si avvicina, infatti, le persone si accalcano fino a fargli perdere il contatto visivo con la bella sconosciuta e – in una sorta di Sliding doors al contrario – l’apertura delle porte del vagone segna la fine del loro incontro. Prima di scendere, la intravede un’ultima volta: è uno sguardo con un mondo dentro, quello che gli lancia lei prima di avviarsi sulla banchina.
“Aho, lei me pareva Alessandra Panaro in Poveri ma belli” avrebbe detto il signore in tuta. “Caruccia, timidina… ‘n zucchero.” “E lui? Si nun c’aveva da lavorà, je sarebbe corso appresso… che te credi? A me me pareva tanto Enfri Bbogart de Casabblanca…” Avrebbe aggiunto la signora delle Poste, a cui avrebbe fatto eco il ragazzetto 2.0: “Brava, signò: c’aveva du’ occhi che ‘n ce credeva… tipo Er Capitano quanno avemo vinto ‘o scudetto!”
“Se tu da’ soldino, io canta Baglioni. Magari lei sente, lei capisce!”
(Un applauso allo spirito indomito del rom con la fisarmonica, ma forse è meglio se evitiamo.)
Alessio scende in fretta, la cerca… ma è tutto inutile. La sconosciuta in jeans e cuffiette ha preso la sua strada, inghiottita dalla folla pachidermica che sciama nei gironi infernali della stazione, mentre lui se ne rimane lì, solo e impalato come un merluzzo del Mar del Nord, con un magone intriso di velata tristezza.
(Giornata impegnativa questa, per il suo povero stomaco. Eh?)
I giorni che seguono per Alessio sono un elenco di tutti gli stereotipi dell’amor cortese, di quelli che più soffri e più sei contento di soffrirne: pensa a lei in ogni momento del giorno, ne parla a tutti fino a mettere in pericolo la sua credibilità, pensa di impazzire.
Poi, però, la svolta: se Maometto non va alla montagna, sarà la montagna a ritrovare Maometto! Alessio tappezza le fermate di Roma con un annuncio, mettendo a disposizione un indirizzo mail nella speranza che la donna angelicata e anonima si riconosca nella descrizione, e aspetta di vedere che succede.
A oggi, dieci giorni dopo, è stato contattato da circa 200 persone di tutta Italia, ha rilasciato interviste (anche a Giulia sotto la metro, come questo racconto testimonia!) e rischia di finire in tv. In molti fanno il tifo per lui, parecchi pensano che si sia inventato tutto, alcuni dicono che sia una trovata pubblicitaria.
L’unica che avrebbe dovuto parlare, però, non si è palesata. Ancora.
“A bella” starà sicuramente dicendo il signore con la tuta e la Gazzetta. “Datte ‘na mossa perché ‘sto treno nun ripassa mica… a Roma, poi, che te ‘o dico a ‘ffa!”
“Avoja” eccola, la saggezza delle Poste Italiane. “Se mi marito m’avesse fatto ‘n teatrino der genere, artro che du’ fiji… ‘na squadra de pallone, je davo, cor portiere, ‘e riserve e pure er mister!”
“Sì, però, pure questa…” la voce della gioventù non tarda a far sentire le sue perplessità. “Ma che ‘n ce sta sui social? Ma che ‘n ce l’ha internet? Ma ‘ndo l’hai trovata, sulla montagna der sapone?”
“No problema, amico. Tu no preoccupa: tu da’ me più soldini e io fa concerto in mezzo a stazione. Vedi che poi lei ferma.” La parte musicale è importante, per carità. “Però offerte nel cappello tutte mie, capisc’?”
(Eh già, anche la musica, come il colpo di fulmine e la magia, ha sempre un suo prezzo.)
Caro Alessio, se ci potessi risparmiare il concerto di Baglioni alle otto del mattino te ne saremmo grati, ma per il resto tutto lo staff di Giulia sotto la metro ti fa un in bocca al lupo grande come una casa… tu, però, promettici che se la trovi ce lo fai sapere!