Sulle orme di Italia’s Got Talent, Giulia sotto la metro diventa giudice di una particolare sezione dei casting: quelli lungo i binari della metro A. Per sapere chi degli aspiranti concorrenti arriverà in finale… restate con noi!
“Elvis de Roma” — Categoria: musicisti
I ricordi che ho di questo concorrente risalgono a circa 8 anni fa, ma non credo sia il caso di escluderlo dal casting in corso. Anzi. Le immagini di quella performance sono talmente vivide nella mia mente, che mi sembrano accadute pochi minuti fa.
Sale a bordo assieme a me a Furio Camillo, vestito di tutto punto come se fossimo a Las Vegas e non a Roma Sud: camicia con gli strass, jeans strettissimi, basettone d’ordinanza e occhiali da sole con l’inconfondibile taglio alla “The King” strafatto degli anni ‘70.
Imbraccia la chitarra, d’epoca anche quella, e si presenta alla sua maniera. Una roba tipo:
“So’ de Roma, ma faccio er roccheroll. So’ italiano, ma me sento americano. Mo’ ve sòno un par de pezzi dell’anni ’50, voi ricordàteve de me… io so’ Elvis, Elvis de Roma.”
E come Richard Gere con Julia Roberts, mi ha convinto al ciao.
Questi, però, non sono appunti professionali da scrivere nel mio taccuino mentale, è solo il frutto di una grande passione della sottoscritta per quel decennio e per quella musica; per essere realmente oggettiva, però, devo valutare l’esibizione.
Detto fatto: “A-uan, a-ciù, a-uan-ciù-tri-for!” Elvis de Roma si batte da solo i quattro tempi d’attacco e poi parte inarrestabile con la doverosa Blues Suede Shoes.
È intonato, il ragazzo, ha la voce bassa e ammiccante che ci vuole per cantare questo repertorio qui, ma soprattutto balla spostandosi lungo il vagone e coinvolgendo con lo sguardo e le movenze anche il passeggero più reticente.
“Ha fatto della sua confort zone un marchio di fabbrica.” Questo sì che è un appunto mentale degno del mio taccuino mentale e non dubito neanche per un istante che i miei colleghi giudici saranno d’accordo, anche se non amano il genere tanto quanto me.
A metà del tragitto tra Ponte Lungo e Re di Roma, passa con maestria dal pezzo che sta terminando all’intro di Jailhouse Rock, che mi permette di notare come, inaspettatamente, il dialetto romano a volte abbia una fonetica adatta al rock’n’roll, anche più dell’inglese stesso.
“Uard to pari in de cantigei… prisban der i bighen ciu uei…”
E’ perfetto, signori, quasi riconosco l’accento del Mississippi e non posso non interagire quando, alla fine dell’esibizione, il tipo si avvicina e mi parla.
“Ahò, t’ho visto che cantavi! Te piace er Re, ve’?”
“Ma certo” gli rispondo. “A chi non piace?”
“E te piacio puro io, dì la verità!”
“Ehm… in effetti sì.”
Temo di scoprire dove andrà a parare la conversazione, ma non me la sento di interromperla.
“E allora famo così, perché io so’ uno ggiovane e tecnologgico. Ce stai su Feisbucche?”
“Sì…” (Paura? Già passata.)
“E allora diglielo, a Feisbucche, che te piace Elvis de Roma. C’ho la paggina pubblica, sa’?”
“Non ne dubitavo…”
“Ecco! Allora, me lo metti sto me laik iu?”
Oh, boy… che ci volete fare?
Per Giulia sotto la metro, questo è un sì.