Un autobus chiamato 714

Agosto. Roma. Mezzogiorno. Caldo. Tanto.
Cammino a fatica, diretta alla fermata del temibile autobus 714 in piazza San Giovanni.
Al semaforo di via Merulana, però, mi accorgo che il maledetto sta ripartendo proprio in quel momento.

Correre per provare a raggiungerlo sarebbe fatica sprecata. Mestamente e sotto un sole atroce, accetto in fretta la prospettiva di aspettare a tempo indeterminato, sola in mezzo alla landa deserta del marciapiede con l’unica compagnia di una provvidenziale fontanella.

Attraverso il bagliore accecante che sale da est, però, a un tratto vedo avvicinarsi la silhouette di una zingara che con una mano spinge un’enorme carrozzina a due posti e con l’altra trascina i due figli al seguito.

(La scena non vi tragga in inganno: la carrozzina e i bambini non hanno niente a che spartire tra loro, visto che i due rampolli non sono né lattanti né gemelli).

Il terzetto mi raggiunge e si piazza accanto a me, sotto il filo d’ombra proiettata a terra dalla tabella degli autobus di questa fermata. Si tratta però di un filo talmente esile che a stento ripara la mia testa in fiamme; il resto del mio corpo, ahimè, frigge così come la zingara e i suoi pupi.

Per ingannare il tempo in quella spinosa situazione, compio l’errore più comune per il viaggiatore metropolitano che ancora nutre un briciolo di speranza nei confronti dell’ATAC: guardo l’applicazione, sperando che dica la verità sui mezzi in arrivo.

(Cazzo, ma la smetterò mai? No, perché tanto vale che la sera del 24 dicembre mi sieda davanti al camino ad aspettare il ciccione barbuto: le probabilità di riuscita dell’operazione sono più o meno le stesse.)

Stando al marchingegno demoniaco, il prossimo 714 partirà dal capolinea alle 12:48, ovvero tra sette minuti; aggiungiamocene altri dieci di tragitto e diciamo che dovrò aspettare meno di venti minuti: dai, se po’ ffa’.

Per precauzione, però, mi avvicino alla fontanella per bagnarmi tempie e polsi e anche tutto il resto, visto che i due zingarelli l’hanno scambiata per la piscina comunale e si stanno schizzando a vicenda come se non ci fosse un domani.

Beati loro! Beati, che non hanno guardato l’applicazione e non si sono illusi che il 714 sarebbe arrivato sul serio in meno di venti minuti… perché in verità il tempo di attesa ha superato la mezzora.

Al suo arrivo, ci accoglie strapieno e non solo di esseri umani propriamente detti.

Accanto alla porta centrale c’è un ometto alto non più di un metro e mezzo, il quale circonda con le sue braccine un’enorme cassapanca (giuro!) incartata con la plastica nera dei sacchetti per il pattume. Un po’ più in là si intravede, dietro una valigia smisurata, una signora talmente anziana e decrepita che non so neanche come abbia fatto ad arrivare qui sull’autobus. Per non essere da meno, la signora gitana con i due bambini che è salita a bordo con me ha piazzato la carrozzina proprio davanti all’entrata centrale e non permette a nessuno di spostarla né di entrare. E se per caso lei da sola non bastasse, poco più in là è seduta un’altra zingara, intenta ad allattare un pargolo in fasce e noncurante del casino che la circonda. Le due mamme cominciano a chiacchierare fra loro, ovviamente gridando e ovviamente con parole incomprensibili.

È difficile descrivere l’affollamento di corpi e masserizie su questo veicolo che procede a passo d’uomo lungo una Colombo riarsa, sommersa di monnezza e tappezzata di tende di sfollati sotto ogni albero e cespuglio. Per fortuna o per bontà divina, che dir si voglia, poco alla volta i passeggeri cominciano a scendere da questo infernale 714, il traffico diminuisce, finalmente io riesco a trovare un posto a sedere (amen!) e l’autista decide che è arrivata l’ora di mostrare le sue doti di spericolato conducente, o la volontà di interpretare un reboot di Speed con Keanu Reeves e Sandra Bullock.

Non appena scatta l’onda verde, via a rotta di collo!

Già, a rotta di collo, proprio come si diceva ai bei tempi andati… solo che il cretino ha temporaneamente dimenticato in quali condizioni il suo mezzo sia ridotto e quindi non riesce a capire quanto sia impossibile sopravvivere – seduti o in piedi – su questo trabiccolo impazzito.

(Riuscite a immaginare i danni che stanno combinando gli ammortizzatori assenti? No, eh? Per darvi un’idea, quelli che stanno seduti sentono i reni piangere, quelli che stanno in piedi sento le vertebre cervicali stridere.)

Onde evitare che gli scossoni peggiorino la mia situazione ossea – già discretamente compromessa – o di ridurre la mia statura – già a dir poco esigua – mi alzo e mi avvicino alla porta anteriore dell’autobus. E grazie al cielo, perché non faccio in tempo a muovere un paio di passi che sento un botto clamoroso. Un botto di quelli che pensi che Capodanno sia arrivato con quattro mesi di anticipo, non si sa perché.

Ovviamente non c’è nessun veglione in corso, niente fuochi d’artificio da ammirare con il naso all’insù e la bocca aperta. La schiacciante realtà dei fatti è ben altra: sono saltati i bulloni sotto una coppia di sedili e hanno lasciato crollare il pannello che sostenevano, che è andato a finire prima sotto i sedili stessi e poi in mezzo al corridoio.

Osservo preoccupata la lamiera vagare per il 714 e mi trovo a constatare che nessuno dei pochi rimasti a bordo sembra essersene accorto: ci deve essere un torneo di Candy Crush in corso. Nel dubbio, e per eccesso di zelo perché di fondo io i fatti miei sono impossibilitata a farmeli per natura, decido – prima di scendere alla mia fermata – di andare ad avvisare l’Hamilton de noantri alla guida del mezzo.

“Scusi” gli dico, approfittando di un semaforo rosso, mentre picchietto sul vetro alle sue spalle. “Forse non se n’è accorto, ma c’è un pezzo del suo autobus che gira libero per il corridoio centrale…”

Lui si gira, stringendo fra le mani un poderoso panino imbottito con frittata di zucchine che fino a quel momento non avevo minimamente notato. Dando un mozzico da manuale, mi guarda, mette la freccia per svoltare a destra e con noncuranza mi risponde: “E ce lo so, ma nun se preoccupi, signò: mo’ ce penzo io”.

(Ah, allora famme scende’ subito, va’… che è meglio!)

(Questo racconto è stato scritto a quattro mani con Tiziana P., lettrice di “Giulia sotto la metro”.)