Una telefonata… accorcia la vita

Nuovo giorno, nuovo risveglio poco simpatico, nuovo viaggio in metro. Eccoci qua, Furio Camillo un’altra volta.
Per spezzare la routine, fingo di essere in una capitale europea, dove civiltà ed organizzazione governano l’universo. Vediamo se funziona.

Dal tabellone elettronico, i pochi pixel sopravvissuti ed illuminati mi comunicano che, con mia grande sorpresa, soltanto le scale mobili di Fuori Camillo sono  fuori servizio (…ma dai?  è così da un anno…)  mentre il servizio è “regolare”. Intendiamoci, regolare non indica il corretto funzionamento della linea, ma è una tipica espressione dialettale romana, volta a sottolineare una situazione prevedibile.
Diciamo che potrebbe intendersi come sinonimo di “ovvio”.

Tipo: …Famose a capì, se la metro non passa è regolare!

(Ossia è ovvio che non passi, in quanto questo è lo stato tipico caratterizza il sistema stesso.)

La logica e la fisica sono dalla mia parte, ma la sfiga no. Quella rema sempre contro quindi  non mi lascio andare a festeggiamenti e stupore dovuti all’assenza della ormai regolare scritta “servizio rallentato”, ma in effetti anche su questo potremmo aprire una lunga parentesi. Si, perché una linea metropolitana che nell’ora di punta permette il transito di un treno ogni 5 minuti, in condizioni di servizio rallentato sottintende la possibilità di andare indietro nel tempo… e la relatività ce spiccia casa!
Vabbè, torniamo a noi.

Scendo le scale e passo l’obliteratrice elettronica, che ormai assomiglia sempre più al monolite di 2001 – Odissea nello spazio che a un tornello: molti guardano il diabolico arnese con la stessa curiosità e stupore, altri lo schivano con la stessa agilità di Alberto Tomba qualche anno fa.
Arrivo sulla banchina e dopo pochissimo passa la metropolitana…

Ebbene sì, passa, si ferma ed è funzionante…

Anche io ero scettica. Mi sono guardata  intorno più volte in modo sospetto, ho chiesto conferma agli altri… ed era tutto vero: a quanto pare, i miracoli esistono!

Mi sento felice come un bambino il giorno di Natale, ma dura poco: la mia attenzione viene presto attirata da una fastidiosissima voce.
Avete presente quelle tipe che salgono in metropolitana ed iniziano a parlare al telefono senza mai prendere fiato, ininterrottamente, strillando in modo che tutti le sentano? Ecco, è  appena salita la detentrice della Coppa dei Campioni di categoria e, dopo sole quattro fermate, la odio già così tanto che mi sembra di conoscerla dalle medie.

(E non si tratta della rabbia impulsiva  e  ormonale tipica degli adolescenti, ma di un odio adulto, un  rancore  maturato nel tempo, consapevole e fastidioso.)

L’intero convoglio ci mette poco a capire quanto questa tipa ci tenga proprio a raccontarci tutti i fatti suoi.
Fermata dopo fermata, scopriamo che Luigi ha la dissenteria, che Maria non si fa viva da mesi, che Simone si vede con un’altra e che, purtroppo, lei ieri proprio non ha fatto in tempo ad andare dall’estetista. Nel frattempo, invece, io invoco invano lo spirito di Leonard Nimoy, nella speranza che mi prenda fra le schiere dei placidi vulcaniani: purtroppo, però, non mi sente.

Mentre la  signora continua la sua telefonata con  voce  molto più simile a quella di una nutria che a quella di  un essere umano, cerco di fare i conti di quanta batteria potrebbe esserle rimasta nel telefono, nella speranza che il suo terminale si spenga prima del mio cervello. Incredibilmente, però, problemi di questo tipo la cara amica – esemplare unico al mondo! – non ne ha e  continua imperterrita senza soluzione di continuità.

Stremati, i passeggeri si lasciano andare a commenti estremi: la ragazza vicino a me – di evidenti origini francesi –  si domanda: “Aho, ma questa nun more mai?!” mentre  altri annuiscono con intercalari tipici del centro storico romano, prevalentemente caratterizzati da finali tronche.
Quando finalmente arrivo a Lepanto, che gli dei siano lodati, mi preparo per l’espulsione dal vagone, che come molti sapranno avviene per differenza di pressione: le porte si aprono e  l’enorme pressione di gente all’interno del vagone spinge fuori tutti quelli che si trovano in prossimità della porta. E’ un meccanismo molto simile al motore a quello del motore a reazione, se ci si pensa, ma in questo caso è l’energia umana a venire sfruttata.

(Non è un caso se, quando la voce dell’altoparlante consigli di  allontanarsi dalla linea gialla non lo fa perché è in arrivo il treno, ma  perché durante l’apertura delle porte, si rischia di essere travolti dai corpi espulsi a grande velocità.)

Ironia della sorte, il sopraggiungere di Lepanto spinge la nutria telefonica – eh no?! – a chiudere la conversazione: anche lei deve scendere.

…rabbrividiamo.

(Ma come Marina Massironi, non come quando nevica.)

La signora si avvicina alla porta e si prepara all’espulsione.
Un attimo prima che ci lasci (si spera!) per sempre, le si avvicina un ragazzo: “Signora” le dice. “Mi scusi se la importuno…”

Tutta felice, la signora gli sorride:  “Ma no, mi dica pure…”

E allora lui prosegue: “Volevo comunicare, a nome mio e di tutto il vagone, che ci  ha profondamente rotto il cazzo lei e ‘sta merda di cellulare  e che se la rivedo le faccio mangiare anche la batteria”.

…rabbrividisce.

(Ma come quando capisci che stai per morire, non come prima.)

Ora. Io lo so che non si dovrebbe gioire di queste cose, che la maleducazione non è una cosa bella e  che così si rischia di passare dalla ragione al torto. Nondimeno,  lascerò che i fatti parlino da soli…

STANDING OVATION DA PARTE DI TUTTO IL VAGONE.

E sto.

(Questo racconto è stato scritto a quattro mani con l’amico e lettore Stefano T.)