Hully-gully alla fermata del 671

Quando scampi il delirio sotto la metro, è perché si sta svolgendo sopra: questo mi insegna Silvia, reduce da tre quarti d’ora di attesa alla fermata del 671.

A ballare l’hully-gully, all’inizio, sono solo in due: lei e un tranquillo signore di origine asiatica, entrambi seduti sulla panchina della fermata, si fanno i fatti propri in attesa dell’agognato arrivo della vettura. Ma se prima erano in due a ballare l’hully-gully, dopo qualche minuto si aggiunge un vecchietto con una caratteristica quando suadente voce da carrettiere.

“Aho” chiede. “Da quant’è che ‘n passa er sei-sette-uno?”

“Da almeno un quarto d’ora…” risponde Silvia, con un velo malcelato di sconforto nella voce, innescando in lui uno scomposto e poco comprensibile comizio a mezza bocca.

Ed è lì che, se prima erano in tre a ballare l’hully-gully, adesso diventano quattro grazie all’arrivo di una signora: anche lei piuttosto in là con gli anni, non vede l’ora di prendere parte al comizio in corso e si accomoda sulla panchina accanto al vecchietto, che nel frattempo continua a pontificare in lingue sconosciute.

E spacca, la cara nonnina, uh… se spacca.

Nel giro di un paio di minuti tira giù, in sequenza: tutti i luoghi comuni esistenti riguardo la fine dell’inverno, l’arrivo di febbraio, le giornate che si allungano, l’ora legale che non ci si capisce mai niente e – giusto per non farsi parlare dietro – una spolveratina finale di piove governo ladro.

(Silvia continua a osservare la scena in un silenzio perplesso e non sa se sia meglio rimanere lì a osservare la scena con i pop-corn in mano o piuttosto darsela a gambe… visto che a lei l’hully-gully non piace neanche tanto.)

Spronato dall’entusiasmo della nuova arrivata, il vecchietto preme sull’acceleratore del comizio (che in fin dei conti ha iniziato lui e ci tiene che si sappia), arringando con vigore una folla invisibile sui disagi e i dolori del mezzo pubblico capitolino.

Sul momento culminante del finale travolgente, giusto un attimo prima della standing ovation, entra in scena un altro anziano personaggio che in un paio di battute si rivela il cognato della nonnina (…quanto è piccolo il mondo, specie nel nostro quartiere).

Così, se prima erano in quattro a ballare l’hully-gully, adesso sono in cinque con tanto di parente aggiunto: “Aho, Marì, sto a’nna’ dar ferramenta. Se te va, dopo te ripasso a pija’ co’a macchina.”

“E magari!” Ribatte prontamente lei. “Tanto, ora che torni, er sei-sette-uno cor quasi che è passato…”

A quel punto, quando a ballare l’hully-gully sono tornati in quattro causa ferramenta, l’attenzione di tutti viene richiamata da un fischio alla pecorara di quelli che a Peter, il pastorello amico di Heidi, gli spicciano casa per un mese.

No. Non sono i Flipper che ci suonano un ritornello: è il vecchietto del comizio che, stanco di cianciare e di attendere invano, ha deciso di chiamare così tutti gli autobus che vede nei pressi della fermata e anche dall’altro lato della strada. Sul primo che si ferma, decide di salire con scatto felino e agile mossa l’uomo asiatico che in primis ha dato vita al nostro bel giro di hully-gully.

(Sempre meno fan di questo strano ballo, Silvia lo saluta mentalmente con dolore, sgomento e un principio di lacrima agli occhi: è quasi ora di mollare i pop-corn e darsela a gambe. Proprio come ha fatto il suo esotico compagno di sventura.)

Tutto fiero del proprio operato sonoro, il vecchietto si alza e guarda la nonnina in cerca di un’approvazione che lei gli fornisce immediatamente – udite, udite: tutto vero – iniziando a parlare in rima. Nasce così una nuova versione dell’hully-gully, duetto e trap: stavolta sono in due e mentre lui afferma a ritmo sincopato che tornerà presto a casa in autobus beato e in panciolle, lei prevede invece di rimanere a vita su quella panchina ostaggio dell’ATAC, del consesso umano e soprattutto del cognato (che è rimasto dal ferramenta, probabilmente a ballare il twist).

Poco dopo, ma anche dopo tre quarti d’ora di attesa, finalmente si palesa il 671. Dopo aver visto andare via il cognato uccel di bosco, l’asiatico silente e il vecchietto sindacalista, Silvia decide che anche per lei è ora di abbandonare quella surreale fermata. Senza guardarsi indietro, sale a bordo e lascia sulla panchina la nonna poetessa. Dovrà aspettare che torni il cognato e in fondo è giusto visto che, proprio come Edoardo Vianello alla fine della canzone, è rimasta da sola a ballare l’hully-gully.

(Tratto da una storia realmente accaduta a Silvia V., lettrice di “Giulia sotto la metro”. Per gli interessati, ecco un antico reperto audiovisivo relativo all’hully-gully.)