Quante volte ho guardato al cielo

Con questo racconto, Francesca Romana Ciaffi si aggiudica il premio

per il miglior racconto ambientato in metro di Férmate 2019,

il primo concorso per viaggiatori metropolitani sull’orlo di una crisi di nervi,

indetto da Giulia sotto la metro.

Quando un cantautore affermato ed amato offre un concerto alla sua città, non si può che dargli tributo. Partecipare, ascoltare, cantare e godere con lui.

Era successo così con Renato Zero: noi, sorcine della prima ora, non c’eravamo fatta scappare l’occasione. Non ci aveva fermato nulla, né mariti, né figli, ad alcune nemmeno i nipoti, né la quotidianità da seguire, i nostri vecchi, il lavoro, gli impegni, la casa, la spesa… niente. C’eravamo cercate, avevamo formato l’inevitabile gruppo WhatsApp, ci eravamo organizzate per l’acquisto dei biglietti, avevamo previsto una pizza insieme e poco altro per arrivare all’evento belle cariche.

Ci eravamo girate le più vecchie canzoni, riproponendole al cellulare, troppo spesso accompagnate da aneddoti o frasi che ci riportavano indietro nel tempo. A quei giorni in cui accarezzavamo la vita vivendola come un gioco, come un sogno, come l’amore muore disciolto in lacrime ma noi teniamoci forte e lasciamo il mondo ai vizi suoi….

Tornavamo indietro nel tempo, cercando nei solchi della memoria le affinità, i momenti vissuti insieme, le improbabili promesse fatte sulla certezza che non ci saremmo mai perse… Qualcuna sì, Anna non l’abbiamo più trovata, dopo aver visto suo figlio morire a vent’anni in un incidente di moto è scappata con tutti i suoi fantasmi in Irlanda…  Bruna, purtroppo, se ne è andata ma non per sua scelta, la vita ha deciso per lei…

Ora i nostri occhi vedevano un mondo diverso, un mondo in cui difendere noi e i nostri figli dalla violenza gratuita troppo spesso scontata anche sui social, dal malaffare che si annida nelle maglie più nascoste di questa città, dall’egoismo di cui, nostro malgrado, siamo vittime e carnefici…

Con determinazione e perseveranza… perché no a chi di vivere ha paura, no a chi amerà una volta sola, no a chi non conosce sentimenti no a chi di vivere ha rimpianti… provavamo ad organizzare nel migliore dei modi quella serata che ci apparteneva, che sarebbe stata la Nostra Serata, che ci avrebbe rivisto felici e spensierate, cantare a squarciagola con tutto il fiato possibile (Fra era malata di bronchite asmatica cronica ma voleva, per questo, che fossimo noi a cantare più forte anche per lei), esorcizzando i brutti pensieri e la fatica della vita di una cinquantenne media.

Perché tra di noi se ne parlava… e la loro vita e la mia vita è nella stessa direzione blu… e non è un buttare i sentimenti in fondo al cesso…

Ma quella sera, magicamente, arrivò: sciarpa al collo, panino e bottiglietta d’acqua, un entusiasmo da bambine come se non dovesse esserci un domani, eccoci ritrovate davanti al paninaro con il camion rosso. Ci avevano accompagnato i mariti, Rosa che è single aveva precettato il fratello, ma saremmo tornate con il taxi, o con i mezzi pubblici, perché quella serata doveva essere tutta per noi. Dovevamo fare che questa vita incazzata possa cambiare umore e diventare amore…

Poche stelle di carta il tuo cielo ecco qua ed inventa te stesso la musica mia e dimentichi il mondo con la sua follia …noi lassù, concitate, lui laggiù piccolo come un pupazzetto, elegante, estroso, cantava da dio, si prendeva la nostra anima, le nostre emozioni, i nostri giochi… ci guardavamo, commosse e deliziate da tanta avvincente atmosfera, turbate dalla potenza del suo carisma, da quel dono che lo rendeva unico ed incontrastato re dei nostri giorni più belli.

Prestateci ancora un sogno lasciateci ancora cantare perché questa notte sia eterna, sia una notte d’amore… ci guardavamo negli occhi, a condividere quel momento di eccitazione e cantavamo con lui e con altre migliaia di persone, esse stesse, come noi, perse nell’ebbrezza della serata, ubriache di nostalgia o forse solo appagate di buona musica, di belle parole….

E come ogni circostanza, anche il concerto finì; quel “non dimenticatemi eh?” non poteva che essere ascoltato. E confermato.

Altre dieci volte avesse fatto un concerto, noi, Renato, l’avremmo rivisto.

Fuori dal Palalottomatica, tutti i taxi sfrecciavano già pieni. Ma per noi non era ancora giunto il momento di andare a casa. Dovevamo commentare, continuare a pensarci, a sollecitare ancora la memoria per qualche passaggio sfuggito nel tempo.

Com’è lontano ieri…e poi in alto e ancora su… fino a sfiorare Dio…

Camminando, raggiungemmo piano piano la stazione metro Palasport. Ancora non volevamo separarci, e avevamo deciso di arrivare in centro a prenderci un cappuccino caldo, per poi lasciarci e tornare ognuna alla sua famiglia.

Salendo sul vagone, percepimmo già una vaga sensazione di incertezza. Non di paura, perché a cinquant’anni difficile che ti fai mettere paura da dei quindicenni. Non erano affatto tranquilli, avevano occhi liquefatti, il tono era minaccioso e si beccavano tra di loro. Sebbene fosse una banda, scalpitavano l’uno contro l’altro, come se avessero qualcosa da rivendicarsi, un ruolo, un posto, una partita…

Poi all’improvviso uno di loro si alzò per fronteggiarsi con un altro, volò il primo cazzotto; il treno, pieno, fu scosso da un sussulto di angoscia, ma nessuno si azzardava a fermarli.

Sguardi vuoti senza più realtà nei silenzi di chi si è arreso già… fermati con me forse insieme a te salverò quest’anima se da salvare è…

Improvvisamente sentii, come in un ricordo onirico, la mia improbabile temerarietà farsi strada.

Come un automa, freddo e silenzioso ero arrivata lì, davanti a loro, mi ero frapposta tra i contendenti e avevo iniziato a cantare. Forte, con tutto il fiato che potevo, sicura che questo mi avrebbe provocato uno spintone, se non delle percosse.

E invece no. Questo passaggio dovette confondere i loro animi già perduti.

Ricordi quando ti nasceva una canzone e quando la speranza aveva gli occhi tuoi…. vincerai se lo vuoi, ma non farti fregare gli anni tuoi …

Non so come tutti rimasero impietriti da questo comportamento audace. I teppisti, ma anche gli altri viaggiatori. Era calato un silenzio irreale, dove solo io cantavo a squarciagola, bella la vita che se ne va un fiore un cielo la tua ricca povertà …

Solo allora vidi i loro propositi bellicosi desistere e, contemporaneamente, le mie amiche preoccupate venirmi dietro a cantare. E subito dopo tutti i presenti dei vagoni del lungo serpente affacciarsi sull’accaduto e ridere e cantare a loro volta….

E i malandrini scendere stupiti di non aver saputo affrontare una cinquantenne svampita che cantava Renato alle loro marachelle…..

Fu per gioco o per follia, quando ad un relè affidai la sorte mia! Io sfidai finanche Dio, credendo l’infinito fosse mio…