Natale sotto la metro

Fine anno: tempo di bilanci, di corse frenetiche in cerca degli ultimi regali e di scioperi a tradimento che ti fanno girare il culo anche quando tu vorresti solo essere sorridente e cantare Jingle bells jingle bells jingle all the way, stringendo la mano a tutti quelli che passano.

Dato che oggi lo sciopero è stato annunciato in maniera abbastanza contraddittoria, io parto da casa per imbarcarmi come ogni mattina su un convoglio in quel di Furio Camillo ben intenzionata a credere nei potenti mezzi della scienza, della tecnica e anche dell’ATAC.

Eh sì, ATAC, perché io – ci crederesti mai? – ho fiducia in te. Eppure tu, crudele come A in Pretty Little Liars, ti diverti ogni volta a colpirmi a tradimento ogni volta che abbasso le difese: Cancello sbarrato. Ovvero, nnamo a prende l’87 prima che faccia tardi in ufficio sempre cercando di continuare a cantare tra me e me Jingle bells jingle bells con una convinzione almeno passabile.

Tutto sommato, la scelta si rivela giusta perchè dopo dieci minuti salgo a bordo di un autobus krumiro che, stipato come un carro bestiame, trotterella come può verso Ottaviano.

Eh sì perché sia che arrivi giù l’apocalisse, l’invasione zombie o The Day after tomorrow, sempre così finisce: Furio Camillo – Ottaviano, Ottaviano – Furio Camillo.

Che noia, che barba – che barba, che noia.

Vi direi pure che son stufa, eh? Quasi quasi me ne tornerei a casa, ma poi la trasmissione chi la manda in onda? Quindi, non sprechiamo energie per inutili lamentele e cerchiamo di sopravvivere nella jungla per la prossima ora-ora e mezza (se sono fortunata).

Per dovere di cronaca, devo dire che stavolta la situazione è piuttosto precaria.
Fisicamente, dico.

Sì, perché sono finita accanto a un ragazzo che deve prendere un treno con una quantità infinita di bagagli, tra cui anche un paio di sci che potrebbero crollare al suolo uccidendo qualcuno nel giro di qualche fermata.

Sparsi per terra come torri, cavalli e alfieri sulle scacchiere di Marostica, questi bagagli impediscono a me e a chi mi sta accanto di stiparci ulteriormente per fare spazio ai nuovi arrivati. Dato però, che questa situazione non è visibile a meno che non ti avvicini davvero, la gente non capisce perché non ci stringiamo e quindi ci schifa e ci odia come se glielo stessimo facendo apposta (ora è più difficile, ma dentro di me continuo a cantare Jingle bells jingle bells).

Come se non bastasse, il nostro prode sciatore vorrebbe scendere a San Giovanni e da lì prendere un altro autobus che porti lui e il suo caravanserraglio fino alla stazione Termini. Il suo piano diabolico sarebbe anche buono, se non fosse che il tipo non è pratico del percorso dell’autobus e tenta di accertarsi in ogni modo che veramente l’87 passi per Piazza San Giovanni: se lo fa dire da Google maps, dall’applicazione dell’ATAC, dalla madre per telefono e persino dalle due signore rincoglionite che ha accanto.

Certo, loro nel tentativo di aiutarlo scambiano via Gabi per via Gela, quindi Re di Roma per Ponte Lungo, e questo non aiuta affatto… ma quando glielo ridico io per l’ennesima volta, a brutto muso e con un vaffanculo sottinteso dalle mie sopracciglia aggrottate, all’improvviso si convince e non fiata più.

Quando (…e grazie al cielo!) arriviamo a San Giovanni, ci mettiamo un bel po’ a scaricare tutto l’armamentario per la settimana bianca natalizia facendo la catena umana. Alla fine, però, il prode sciatore riesce finalmente ad uscire dalla porta e a sparire una buona volta dalla nostra vista, lasciandomi a godere delle prossime chicche che questo 87 diretto a Ottaviano sta per offrirmi (…e altro che Jingle bells jingle bells, ora).

Approfittando della confusione causata dall’uscita dell’amico montanaro, sguscio tra la folla fino a sedermi e soprattutto a sparire in mezzo alle persone assiepate in ogni dove. Di fatto, non vedo più nulla, ma sento… Uh, se sento!

Voce maschile stizzita, proveniente dalla testa del veicolo: “Dio santo, non è possibile! Ma che contraddizione è un’azienda che fa servizio pubblico contro il popolo? È un controsenso! Io ho un appuntamento dal dentista a cui arriverò con due ore di ritardo… eppure le tasse le pago!”

(E paghi pure il dentista, bello mio… mi viene da dirlo ma non lo dico, perché sono troppo occupata a cantare nella mia testa voi sapete cosa, anche se – con tutto questo casino – sto iniziando a dimenticare le parole.)

Voce femminile ansiosa, a pochi metri da me: “Autista! Apra! C’è una ragazza che si sente male!”
Voce maschile proveniente dalla stessa direzione, con sbuffo aggiunto: “E te pareva? Ma questa non se poteva senti’ male tra duecento metri quando c’è la fermata, così scenno pure io??? Magari sta pure a fa’ finta…”

(Dato che non vedo la porta, non so com’è finita, quindi rimarrò per sempre con l’amletico dubbio: ci faceva o c’era?)

Voce femminile sofferente, che riconosco come quella della madre di un mio carissimo amico: “Aiuto! Aiuto! Fatemi uscire, sono incastrata!”

(Vorrei anche aiutarla ma mi guardo bene dal palesarmi, ché oggi non è cosa.)

Voce maschile e matura, qualche metro davanti a me: “No signorina, sono cliente Vodafone e non sono interessato… Le ho detto che non mi va di dare altre informazioni… Si… No… Oh bella, saranno cazzi mia come uso er telefono. È inutile che insisti no?!”

(Ottima risposta, la prossima volta che mi chiamano mi sa che lo dico anche io. Grazie, anonimo amico.)

Voce femminile spaurita: “Mi sa dire dove siamo? Io dovrei scendere a Lepanto ma ho perso l’orientamento.”

Voce maschile con l’aria di chi la sa lunga: “Nun se preoccupi, signó, quanno vede er fiume è arrivata.”

(Mi viene il dubbio che le stia suggerendo di buttarcisi dentro, ma è Natale e non voglio fare brutti pensieri, anzi… Jingle bells jingle bells, ripetiamolo che non guasta.)

Devo dire che non vedo l’ora anche io di veder apparire ‘sto fiume che score (cit!) perché vuol dire che sarò quasi arrivata anche io. Ah, mi sono dimenticata di dirlo: da qualche fermata, si è seduta accanto a me una signora cinese che emana un olezzo d’aglio nauseabondo. Da un lato, visto che sono ancora viva, accantono ogni dubbio sul fatto di essere una strega o un vampiro. Dall’altra c’è una cosa che non capisco: la signora sta facendo uno schema di parole incrociate… ma come farà a finirlo bene se ogni volta che deve scrivere una “R” mette una “L” e viceversa?

Come da previsioni iniziali, nel giro di un’ora e mezza l’87 arriva a Cola di Rienzo e io mi preparo a scendere. In questo frangente, però, mi accorgo di qualcosa che finora nel caos mi è sfuggito: dietro di me è seduto un ragazzino, avrà 16 anni e mi ricorda da morire il bel fanciullo di Terminator 2 che quando ero piccola non solo mi ha causato notevoli turbamenti ormonali ma soprattutto, proprio per la sua avvenenza ammaliante, mi ha sempre impedito di capire bene tutta la storia di Sarah Connor, John Connor, il passato, il presente e il futuro.

Il ragazzino è seduto, ma si sporge completamente in avanti verso di me e sul momento non saprei dire perché.

Lo guardo, mi guarda, lui ride, io capisco.

Stava leggendo.

Leggeva gli appunti che via via ho preso sul mio cellulare per poter poi raccontare tutto questo incontrollato delirio e gli è piaciuto. Ne sono sicura, perché è visibilmente deluso dal fatto che io mi stia alzando. Gli faccio un cenno e scendo dalla porta centrale. Lui ricambia con un ultimo sorriso (bellissimo) e io, felice come una pupa, ricomincio a cantare Jingle bells jingle bells con tutta la convinzione che non ho mai avuto dall’inizio del viaggio.

Perché?

Perché se questo non è il più bel regalo di Natale che potessi desiderare quest’anno, ditemi voi quale potrebbe mai essere.