Dal giorno degli attentati di Parigi, il cittadino romano medio si è interrogato spesso sulla vera utilità della presenza di forze armate sotto la metro: servono a difenderci? Servono a prenderci a fucilate? Servono a farci spendere soldi a buffo?
Ebbene, finalmente sono in possesso della risposta a questi cruciali interrogativi e ora la rivelerò pubblicamente.
Ore 19:30, Lepanto. Sto tornando a casa e vado anche di fretta perché devo andare a una cena, ma tanto per cambiare sono uscita tardi dal lavoro. Passo di corsa al tornello, imbocco il corridoio contrassegnato dalla direzione Anagnina e inizio a scendere le scale che portano alla banchina.
Per quanto di fretta, riesco a cogliere l’assenza di un dettaglio fondamentale: dov’è il tipo che abitualmente suona la chitarra all’inizio delle scale? Dov’è quel soggetto all’apparenza balcanico nonché ultracentenario che, armato di amplificatore del Canta Tu e di berretto per le offerte, continua a storpiare senza risentimento alcuno i pezzi più belli dei Led Zeppelin? Dov’è quel tale che ogni sera mi fa pensare che, se canta lui in pubblico, ti pare che mi faccio scrupoli a farlo io… ma anche che forse sarebbe meglio se la smettessimo entrambi?
Ecco, stasera non c’è e malgrado tutto devo constatare che a quella lagna irrispettosa della gloriosa storia del rock, le mie orecchie si sono abituate al punto che ne sento la mancanza.
Il fatto di essere in ritardo non mi permette di indugiare oltremodo sulla misteriosa sparizione, anzi mi spinge a correre più velocemente del solito lungo le scale. Il mio impeto, però, viene smorzato all’improvviso dall’anomalo terzetto contro cui rischio di andare a sbattere. Davanti a me ci sono i due piantoni dell’esercito assegnati alla fermata di Lepanto e il caro amico (erroneamente giudicato) latitante.
Stanno discutendo. E di brutto pure.
Lui gesticola come un pazzo, brandendo la sua chitarra ben chiusa nella custodia, mentre l’amplificatore del Canta Tu osserva la scena abbandonato in un angolo. Dalle prime battute, intuisco che i soldati gli abbiano imposto di abbandonare la sua abituale postazione di scena e che lui non l’abbia presa troppo bene.
(Con buona pace dei Led Zeppelin e soprattutto di Bonzo, quello morto, che può finalmente tornare a godersi il suo eterno riposo in serenità.)
“Ma chi vi credete di essere? Voi non potete mica fare così! Quello è il mio posto!”
“No signore, quello non è il suo posto e io devo chiederle di lasciare la stazione, cortesemente.”
E certo: cortesemente, disse l’uomo con il mitra spianato che a me incute più timore che all’amico musico, almeno a giudicare da come è pronto a ribattere.
“Lasciare la stazione? E qual è la mia colpa? Suonare per chi passa? È un’ingiustizia… Ma dove andrà a finire il nostro paese, di questo passo?”
Si potrebbe obiettare che le sue ultime parole stridano un filo con il suo accento palesemente dell’est – azzarderei Romania, ma potrei sbagliare – ma ci pensa l’amico a sciogliere i miei dubbi: “Sono vent’anni che vivo qui e una cosa del genere non mi è mai successa!”
(Ah ecco… dev’essere una nazionalità concessa per usucapione, tipo.)
Le rimostranze vanno avanti per un po’, ma non riescono a muovere a compassione il mitra spianato dei due baldi militi. L’unica cosa che al nostro eroe rimane da fare è raccattare chitarra e Canta Tu e avviarsi verso la prima metro in arrivo.
Lo stile con cui lo fa, però, è al limite del coup de théâtre: batte i tacchi, porta la mano destra tesa verso la fronte e annuncia: “Sono un tenente in riserva, colleghi. Le conosco le regole militari!”
I militari sorridono, e in verità sorrido anche io, ma quei sorrisi muoiono sulle nostre labbra quando lui si incammina sui suoi passi canticchiando La guerra di Piero.
(Nella fattispecie, il pezzo in cui fa: “Sparagli Piero, sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora”. Che classe, che eleganza! Massimo rispetto per l’amico balcanico.)
Si potrebbe pensare che la scena sia finita qui, con un climax degno di un testo navigato, ma non è affatto vero. Manco pe’ niente.
Il canticchiare sommesso (neanche troppo) viene interrotto dal rumore di passi che scendono le scale alle nostre spalle. Sono in arrivo dei tipi dell’ATAC: un figurino in giacca e cravatta con mostre e mostrine, insieme a due energumeni con il giubbotto a strappo e quelle bande fluorescenti con le lucine, tipici degli addetti alla sicurezza.
L’amico musico, proprio come il Piero della canzone, si volta, li vede, ha paura.
Paura manco per un cavolo, mi tocca convenire qualche secondo dopo ascoltando le parole che esclama a gran voce poco dopo: “Grazie, Loris! Grazie! Sei fortissimo, sei il numero uno! Proprio un bel lavoro!”
“Io?!” Chiede sorpreso Loris, il figurino incravattato. “E che c’entro io? So’ appena arrivato…”
“Non me l’aspettavo proprio da te, sai? Lavoriamo insieme da sedici anni… sappi che mi hai davvero deluso.”
Dunque. Dal suo abbigliamento, io direi che questo Loris dovrebbe rispondere alle mansioni di responsabile di fermata, o di capostazione, o se preferite di capoccia de Lepanto… insomma, ci siamo capiti. Cosa intende insinuare l’amico musico con l’espressione “lavoriamo insieme”? Che steccano le elemosine? Intende che quando escono vanno a braccetto a fare gli extra nei ristoranti? Che fanno da tramite per un traffico di prostitute dell’est? Insinua che Loris scrive i pezzi e che l’amico li canta?
(Ah no, erano i Led Zeppelin e suonati pure male… non me ne vogliano i maestosi Jimmy e Robert per la gaffe, ma comunque il dubbio rimane insoluto.)
“Ma io non so niente…” Loris inizia a capire di essersi cacciato in un guaio. “So’ appena arrivato, che è successo?”
“È successo che tu con me hai chiuso, Loris!”
Sento distintamente mormorare il militare accanto a me: “Damme retta, prima o poi ci finiremo a mettere in piedi il regime…”, giusto un attimo prima che un attacco di troppo da parte del menestrello balcano faccia partire la brocca all’ignaro Loris.
I due si ritrovano muso a muso, con una furia che mi fa sentire nell’aria odor di craniata, ma di quelle belle, di quelle che si vedono solo durante una finale di coppa del mondo di calcio (vinta).
Si insultano, inveiscono agitandosi come leoni in gabbia ma con l’eleganza di evitare l’ormai usurata frase: “Aho, regà, reggeteme!”. Le signore radunate in un ansioso capannello, temendo che le cose possano degenerare li invitano alla calma e al dialogo con le tipiche frasi da signore in capannello.
Nulla cambia, però, finché non si fanno avanti i due energumeni a strisce fluo. E meno male, perché vorrei sapere che cazzo siete stati a fare fermi impalati negli ultimi cinque minuti… Ché poi la gente si chiede che vi paghiamo a fare e voi vi offendete pure.
Allontanano i contendenti, poi abbrancano il musico con tanto di chitarra e Canta Tu e lo scaraventano verso la metro in arrivo. (Guai a chi dice che la metro, quando deve passare, non passa mai!)
Stropicciato al limite dello shock, Loris continua a bofonchiare che lui non c’entra niente, che il tipo lo ha aggredito, che lui era appena arrivato; il menestrello invece entra a testa alta nel vagone,
augurando con sussiego buon anno nuovo a tutti.
Dalla porta accanto a quella dov’è entrato lui, entro anche io. Rifletto sull’accaduto con quel minimo di attività neuronale che mi è rimasta e cerco di capire effettivamente perché i militari abbiano deciso proprio oggi di sbaraccare l’amico che – parole sue – lavora con Loris da ben sedici anni.
Oltraggio a pubblico ufficiale? Nah, è vero che gli ha cantato De Andrè, ma quello è successo dopo… Terrorismo? Nah, se il tipo fosse riuscito a nascondere un ordigno in quel Canta Tu del secolo scorso bisognava dargli il Nobel, altro che l’arresto… Accattonaggio? Nah, non è il primo e figurati se sarà l’ultimo a storpiare gli Zeppelin per due spicci…
È proprio lì, però, che mi viene l’illuminazione: quei due non stavano proteggendo i cittadini romani, stavano proteggendo i Led Zeppelin! Ecco che facevano!
E allora, se è vero – come sostenevo all’inizio – che lo scopo delle forze armate sotto la metro è la salvaguardia del buon rock anni ’70, sapete che c’è? Speriamo che non capitino mai a un mio concerto… e guarda che il rischio c’è, il pub dove suono sta davanti a una caserma.