Crisi di identità

Giorni fa sono andata ad assistere a una laurea. Esatto, sono ancora sufficientemente giovane da conoscere persone che si laureano. Vi ho stupito, eh?

Beh, la verità è che si trattava di una cugina, quindi l’età anagrafica non c’entra, ma non mi andava di rinunciare all’entrata a effetto e quindi ho indugiato nella cojonella. Sorry!

Non avendo la minima di idea di come muovermi per i meandri di Roma Tre (La Sapienza tutta la vita, io, per entrambe le lauree) decido di andare con un’amica d’infanzia della laureanda, Chiara, che per forza di cose conosco da tempo immemore anche io.

Fin qui, tutto bene. Se non fosse che Chiara porta con sé un’altra amica, Chiara anche lei. L’omonimia – o il rincoglionimento, a voi la scelta – genera una serie di equivoci a catena che durano tutto il pomeriggio. Se chiami una, risponde l’altra. Se chiedi un fazzoletto a una, te lo dà l’altra. A quella che vuole il caffè offri il succo di frutta e viceversa. Per farla breve, ho soffiato il record del mondo di figur’e’mmerda a Totò e Peppino e mi sono beccata un’emicrania da manuale che si è andata a unire al disappunto per il voto di laurea (109) della mia povera cugina.

“Meritava la lode”, commenta Chiara.
“Lo penso anche io, Chiara”, rispondo, guardandola triste.
“Cosa? Io non ho detto nulla…”
“Ma se hai appena detto…”
“Non è stata lei, sono stata io.”

L’altra Chiara, ovviamente. Ma fino a un attimo fa non era qui con noi. Annamo bene, giocano pure a nascondino ’ste due… (A proposito, com’è che si chiamavano quei due strambi tipi di Alice nel paese nelle Meraviglie?)

L’emicrania mi spinge a sorvolare e a salire sull’autobus insieme a Chiara. E anche all’altra Chiara, ma solo dopo che ci ha messo dieci minuti a scegliere tra trasporto su gomme e trasporto su binari (avrei voluto darle un consiglio, ma come minimo finivo a spiegarle come arrivare a casa di quell’altra, perciò non ho neanche ingaggiato la sfida).

Saliamo sul 671, troviamo posto a sedere e ci chiudiamo tutte e tre in quel mutismo indignato e profondo che solo una laurea con 109 sa scatenare. Dai finestrini vediamo passare i pini della Colombo, l’Agenzia delle entrate (…BRRR!), Habitat, le terme di Caracalla, Porta Metronia, l’Amba Aradam… l’Amba Aradam?Cosa?!

“Idiota! Doveva prendere via Gallia!” dice Chiara.
“Sta girando per San Giovanni?! Ma questo è un 671, non crederà mica di essere un 714!” dice l’altra Chiara, la quale – dimostrando di essere un’acuta conoscitrice delle rotte degli autobus capitolini – si guadagna in un istante tutta la mia stima.

All’unisono, registriamo l’anomalia e incolliamo il naso al vetro dei finestrini per capire cosa ne sarà di questo equipaggio in balia di un bus in piena crisi di identità.

(E fosse solo lui… io con queste due che si scambiano, si alternano e rispondono una al posto dell’altra, ho quasi dimenticato anche il mio, di nome!)

L’autobus, confuso sulla propria personalità come il lupo di Shrek – ma improvvisamente consapevole di non poter continuare su quella rotta anticonvenzionale – fa inversione in mezzo alla strada e (com’era prevedibile) blocca il traffico.

“E bravo l’autista…” commenta Chiara.
“Magari pensava pure…” le fa eco Chiara.
“…di riuscirci!” concludo io.

(Ormai mi sono allineata alla loro simbiosi e il risultato è che parliamo come Qui, Quo e Qua.)

Non contento, l’autista tenta di nuovo l’impresa dell’inversione di marcia, questa volta sulla salita di Villa Celimontana (…ma come ci siamo arrivati qui? Stento a capirlo). Per chi non è pratico, vi lascio per qualche istante immaginare un bestione di una dozzina di metri che cerca di fare una manovra a U su una strada a due corsie, in salita e dove in genere sia a destra sia a sinistra sono parcheggiati dei pullman di stazza assolutamente identica.

“Ma quando ce la fa?” chiede Chiara
“Il giorno del poi?” le fa eco Chiara.
“O il mese del mai”, concludo io. E poi scoppio a ridere perché, a metà della manovra, è arrivato un pullman carico di turisti nella direzione opposta e noi siamo stati costretti a tornare indietro e ad aspettare che passasse per poter ricominciare tutto da capo.

La simbiosi tra me, Chiara e Chiara è tale che ormai non abbiamo bisogno di dircelo ad alta voce: scendiamo dall’autobus e andiamo a prenderci un gelato al Celio, ché tanto qua di tornare a casa non se ne parla e almeno ci godiamo la primavera.

Mentre passeggio verso San Giovanni con un cono al cioccolato in mano e le mie due nuove amiche a fianco, mi ritrovo a pensare che quasi quasi cambio nome… secondo voi come suona Chiara sotto la metro?

 

(Tratto da una storia realmente accaduta a Chiara F., lettrice di “Giulia sotto la metro”.)