Al quarto giorno di questa vacanza milanese, posso dire di sapere cosa mi ha colpito in particolare della metropolitana locale: il silenzio.
È denso, pregno, costante, molto spesso turbato solo dal rumore del mio respiro. È il silenzio della gente che si fa i fatti propri, concentrata soltanto sul cellulare e ben attenta a non infastidire niente e nessuno. È il silenzio della riservatezza e dell’educazione, che non prevede interazioni con il prossimo e che spinge a storcere il naso quando qualcuno (non io, non ci penso proprio) si azzarda a tentarne una.
Mi rendo conto quanto tutto ciò per noi romani possa apparire un’utopia difficile da immaginare, una fantasmagoria dai confini poco comprensibili, un mistero delirante come doveva sembrare 2001: odissea nello spazio agli occhi di chi lo vedeva in sala appena uscito nel 1969.
Eppure è tutto vero.
Prendete per esempio questa vistosissima coppia di russi che incontro a metà mattina nel bel mezzo della linea gialla: sono alti tipo due metri e vestiti di plastica catarifrangente e crocifissi penzolanti come solo i russi sanno fare.
Lei è la tipica sventola fuori misura che neanche ve lo sto a dire; lui è incredibilmente somigliante a Bendict Cumberbatch. Eppure, dal momento in cui entrano nel vagone, mentre io non riesco a staccargli gli occhi di dosso, tutti gli altri non hanno neppure registrato la loro presenza e già questo mi sembra uno scempio, perché lo spettacolo è di quelli che normalmente verrebbero definiti come da non perdere.
Ció che, però, trovo veramente inspiegabile è che la totale indifferenza permanga anche quando i due iniziano a litigare, urlando e arrivando persino a mettersi le mani addosso. Lo scontro prosegue indisturbato per un paio di fermate, fino a quando i due non scendono per sparire nella folla insieme ai loro insulti incomprensibili e per lasciare a me un interrogativo dalle tinte inquietanti.
…Ma se lui avesse colpito lei in maniera più seria e le avesse fatto davvero del male, mi domando, qualcuno sarebbe intervenuto a difenderla?
La risposta è no e ci arrivo poco più tardi quando, su una delle vetture più vintage della linea rossa, ha luogo un furto (fortunatamente) sventato sul nascere.
C’è del trambusto, movimenti ratti e bruschi, un ragazzo dai lineamenti esotici che si affretta a fuggire dal vagone e, infine, un anziano signore meridionale che urla.
“Al ladro!” Gracchia a voce alta per i milanesi, ma non per me. “Fermatelo! Stava per rubarmi il portafoglio!”
Improvvisamente mi sento di nuovo a casa, ma la confortevole situazione dura un istante… proprio come le urla del signore.
“Stai zitto, caro.” Gli dice la moglie, truccata, parruccata e ingioiellata a dovere, mentre gli liscia i (pochi) capelli sulla fronte.
“Ma come!” Ribatte lui, gesticolando e giustamente su di giri. “Mi hanno rubato il por…”
“Lo so, caro. Lo so. Ma non puoi farci nulla, quindi per cortesia non disturbare gli altri inutilmente.”
(Ma come non può farci nulla? Ma un minimo di soddisfazione gliela vorremo dare a questo poveretto?)
Di fronte a una roba del genere, l’anziano signore tace con mestizia e lo stesso fa il mio spirito metropolitano… anche se in realtà mi vorrei alzare di corsa, andare ad abbracciare il pover’uomo e poi portarlo via per sempre dall’arpia longobarda con la scusa di offrirgli un caffè e un cornetto per aiutarlo a superare il trauma.
(Probabilmente, per fargli capire cosa intendo dovrei dire caffè e brioche… ma lo farei volentieri ugualmente.)
Alla fermata successiva la coppia scende nel silenzio più totale, che viene incrinato per un attimo da un unico commento solitario. Fa risuonare l’eco come una valanga in montagna, questa laconica frase:
“E comunque, alla fine, il ladro non è stato neanche capace di rubarlo ‘sto benedetto portafoglio.”
A parlare, è stato un calabrese: ecco quanto è silenziosa la metro di Milano.