DAY 6 – Non è tutto oro quel che luccica (prima parte )

DAY 6 – Non è tutto oro quel che luccica (prima parte )

Per questo sesto giorno a Milano, il programma prevede una gita in compagnia di un vecchio amico nel regno avveniristico di City Life, che raggiungeremo solo in seguito a un lungo viaggio sulla linea lilla. Sono diversi, però, i segnali che lasciano intuire quanto ci sarà da ridere.

E non una volta sola.

Cominciamo col dire che – non so perché – ma ho perso il biglietto che tenevo da parte da ieri sera.  Visti i rivenditori automatici del futuro che qui prendono anche le carte di credito, il problema adesso non è certo la penuria di monetine; il problema è proprio che non mi va di fare la fila, quindi per la seconda volta in vita mia decido di trasgredire e passare il tornello insieme al mio amico.

(L’altra volta, se non erro, era dietro a un turista giapponese che non si era accorto di nulla.

Così, per la cronaca.)

Non lo faccio a cuor leggero per lo stesso motivo per cui, quando sono al nord, mi trovo a disagio a parlare dialetto o ad attraversare la strada lontano dalle strisce pedonali o con il semaforo rosso: trattasi di quel senso di pudore provinciale che spingeva Totò e Peppino ad abbondare con la punteggiatura nella stesura della mitologica lettera alla Malafemmena.

Pertanto, con una minima dose di coscienza sporca, mi aspetto di sentire un allarme urlante, qualcuno che mi venga a incarcerare, uno sprazzo di apocalisse… e invece niente.

Con un accenno di disappunto, mi tocca constatare che della mia infrazione non si è accorto nessuno o che, se pure se ne sono accorti, non gliene può fregare di meno.

E poi dicono di Roma… vabbè, come anticipavo poc’anzi, daje a ride.

Cerco di mettere a tacere il mio senso etico confuso nonché sdegnato e seguo il mio amico lungo le scale che portano alle banchine: stando ai cartelli, per andare per dove dobbiamo andare (vedi sopra su Totò e quant’altro… questa giornata, oltre che astrusa, si sta rivelando monotematica) dobbiamo dirigerci verso quella alla nostra destra.

Ligi al dovere, provvediamo a obbedire ma veniamo subito fermati da due addetti alla sicurezza: di qui non si può passare, ci spiegano con nordica laconicità, il passaggio corretto era quello alla nostra sinistra. Non ci danno altre spiegazioni, quindi non saprei dire perché la segnaletica fosse così vistosamente fuorviante, ma sta di fatto che quando raggiungiamo l’atra banchina la troviamo deserta e silenziosa.

Silenziosa e deserta.

E lo rimane per almeno dieci minuti, ovvero fino a quando ci rendiamo conto della scritta che lampeggia a caratteri cubitali sul display elettronico: FUORI SERVIZIO.

(E per una volta che il cittadino è ligio alle indicazioni, arriva la sorveglianza a fornirgli altre indicazioni errate che finiscono a portarlo dalla parte del torto, anche quando non ci sarebbe bisogno.

Per di più, dopo che  il medesimo cittadino si è imbucato al tornello e nessuno si è accorto.

E siamo pure a Milano.

Ma io non lo so. Daje a ride parte seconda.)

Metabolizzato l’aspetto surreale della situazione, il mio amico ed io torniamo dove saremmo voluti andare sin dall’inizio; a quanto sembra, però, questa giornata di lasciarci in pace proprio non vuole saperne. Quando compare la metro, infatti, ci mettiamo diligentemente in coda insieme agli altri astanti in attesa che arrivi il nostro turno di salire a bordo.

La gente sale, noi aspettiamo…

La gente continua a salire, noi continuiamo ad aspettare…

La gente continua a salire sempre più lentamente, noi continuiamo ad aspettare sempre più impazienti…

…e alla fine siamo cosetrtti a rassegnarci quando le porte della metro si chiudono davanti al nostro naso perché a forza di fare i passeggeri civili abbiamo fatto passare troppo tempo: il convoglio riparte e noi rimaniamo impalati con altri cinque o sei scemi come noi a guardarlo andar via, un po’ come i passeggeri rimasti sul ponte del Titanic guardavano le scialuppe allontanarsi in quella gelida notte di tanto ghiaccio e poche nuvole.

E qua da ride c’è veramente poco.

(Confesso che già con il passare dei giorni la metro di Milano non mi sembra più così bella come mi sembrava all’inizio di questa vacanza. E se questa sequela di eventi assurdi non si decide a finire, credo che innalzerò un pollice verso che manco Joaquin Phoenix quando dentro al Colosseo c’era Russell Crowe.

E daje pure con le metafore cinematografiche, ché spaccano sempre.)

FINE PRIMA PARTE