Il mio amico Yuri afferma spesso che, a questo mondo, ognuno nasce e campa con una propria, singolare inclinazione. Tutto sta nell’accettarla e nel riuscire a trarne giovamento, anche nel caso in cui – come capita a lui – questa porti a voler conoscere da vicino i cosiddetti “matti”.
Tutti quelli che, in un vagone della metro danno libero sfogo alla propria complessità interiore invogliando alla fuga gli astanti, per Yuri appaiono invece come un universo da scoprire. Alla loro chiamata, lui non sa mai dire di no.
È così che, una sera, in quel lungo tratto di metro A che passa sotto via Tuscolana, finisce a parlare con un signore moldavo di 74 anni.
“Come ti chiami?” Chiede Yuri, ma il vecchietto non glielo dice.
“Tuo padre” gli chiede invece. “Era vecchio miserabile come me?”
“Amico mio” ammette Yuri. “Lo siamo tutti: tu, lui, anche io.”
“Bravo. Tu ragione.” Con lo sguardo, Il signore moldavo fa capire a Yuri quanto abbia apprezzato la risposta. E poi aggiunge: “Tu sa cosa è figlio e cosa è padre?”
“Spero di sì” confessa Yuri. “O almeno spero di sapere la risposta giusta…”
L’omino annuisce soddisfatto: “Secondo me, tu sa bene. Però io ora spiega te come fare uomo e non bambino: tu mangia tutte le mattine latte, due uova di contadino e un cucchiaio di miele che viene di campagna.”
Yuri apprezza vivamente il consiglio e poi si dedica ad ascoltare il resto delle storie che Il signore gli snocciola lungo tutta la Tuscolana sotterranea: dice che ha 3 figlie in giro per il mondo e che non sa bene dove andare a pregare perché la sua moschea a Magliana è stata sgomberata nel 2006.
(“Nessuno dovrebbe essere sgomberato da nessun posto.” Fa presente Yuri e, in segno di approvazione, il moldavo lo abbraccia con sguardo felice. Ed è felice anche di scoprirlo profumato e pulito.)
“Ma mi dici come ti chiami?” Yuri tenta di nuovo di scoprirlo, ma inutilmente.
“Tu vuole figli?” Chiede l’anonimo signore, cambiando argomento, e quando Yuri annuisce aggiunge: “Tu insegna loro ascoltare, sì?”
“Spero proprio di riuscirci.”
“No problema, tu insegna quello che tu sa fare bene.”
(E su questa, è Yuri che lo abbraccia. Senza se e senza ma.)
Nel giro delle due fermate successive, continuano racconti e insegnamenti: il moldavo raccomanda a Yuri di pregare ogni volta che è insieme alla sua donna e quando lui gli confessa di non avere un dio la risposta è pacata e netta: “Tu ha Dio, solo che tu non ancora trova lui. E non preoccupare, tu sarai bravo padre: tuo figlio impara ascoltare e poi, quando lui grande, insegna suo figlio ascoltare pure lui.”
(A proposito di saper ascoltare, a questo punto Yuri si accorge che il ragazzo accanto a loro, in un primo momento spaventato e infastidito, pian piano ha deciso di partecipare alla conversazione, poi ha iniziato a sorridere senza paura e infine prima di scendere saluta l’amico moldavo tendendogli la mano. Ecco, vedi? Uno in più che ha capito quanto nulla farebbe paura, se la smettessimo di ignorarci.)
A questo punto della storia, la fermata di Yuri sta per arrivare e lui si ritrova profondamente colpito dal’incontro, ma ancora terribilmente curioso di scoprire come si chiama il suo interlocutore dell’est.
“Dai, per piacere…alla prossima scendo, dimmi come ti chiami. Dai…”
“Va bene. Mio nome Velia.”
Alla fine gliel’ha detto.
Gli ha detto anche che tutti qui lo chiamano Valerio perché pensano che il suo sia un nome da femmina. E glielo ha detto come se fosse un premio per aver ascoltato il suo discorso fino all’ultimo.
Ma d’altronde – lo aveva capito subito, Velia – di gente brava ad ascoltare come Yuri ne girano pochi, sotto la metro.
(Tratto da una storia realmente accaduta a Yuri D., lettore di “Giulia sotto la metro”)