Solo perché Roma è una delle capitali più famose del mondo, questo non vuol dire che funzioni bene, al pari delle altre metropoli civilizzate del suo rango. Okay, sai che notizia… ma è sempre bene ribadirlo perché non tutti quelli che vengono a visitarla lo sanno, come per esempio questa coppia di inglesi che in cui mi imbatto alla stazione Termini.
Per dovere di cronaca, devo premettere che a me non piace particolarmente aggirarmi per quel coacervo di negozi, tornelli, binari e spazzatura, accompagnata dal terrore costante che qualcuno mi scippi il Mac, l’iPhone, l’hard disk esterno e tutto il bendiddio tecnologico che mi tocca portare sempre dietro per lavoro.
Forse proprio per questo, però, quando qualcuno mi ferma in quel di Termini per chiedere informazioni, non so resistere alla folle tentazione – targata Croce Rossa – di fermarmi per aiutare il malcapitato di turno. Nella fattispecie, i due tizi che mi fermano hanno un problema piuttosto complicato, anche per me che sono autoctona e abituata a girare in metropolitana.
Sono arrivati dall’aeroporto di Fiumicino, mi spiegano, con uno strano biglietto che non saprei identificare e ora devono andare alla stazione Ostiense a prendere un altro treno che li porti a Torino. Già a sentire questo prologo – in inglese e dopo la giornataccia che ho avuto – si accavallano tutte le scimmiette che normalmente affollano il mio cervello. In più ho un’impellente necessità – fisiologica – di raggiungere casa che non mi aiuta molto a mettere a fuoco il problema.
Pertanto, non solo già mi sono pentita di essermi fermata ad aiutarli, ma – seriamente – non riesco a capire cosa mi stiano chiedendo.
“Miss, please, could you tell us if this is the right ticket?”
(Da questo momento in poi, la narrazione verrà automaticamente tradotta per agevolarne la lettura… chiedo solo la cortesia di immaginarne il forte accento british.)
“Giusto per cosa?”
Sono perplessa. L’aereo l’hanno già preso, quindi siamo a posto. Poi hanno preso il treno da Fiumicino a Termini e per quello dovrebbero aver utilizzato un biglietto ferroviario, anche se non è quello che hanno in mano loro. A questo punto, dovrebbero prendere il treno per andare a Torino: con quel biglietto, però, col fischio che ci arrivano. Secondo me non arrivano manco a Frascati, quindi devo indagare più a fondo.
“Come posso aiutarvi? Dove volete andare, di preciso?”
“A Torino!”
“Sì, questo l’ho capito. Ma prima dovete andare alla stazione Ostiense, no?”
“Esatto! Ma come?”
Eh, come. Non lo so manco io che so’ de Roma, figurati te che sei de Bristol (or whatever).
Conduco i due sassoni a un tabellone degli orari, alla ricerca di un treno che li porti da qui a lì in tempo utile. Credo, però, che tutti i dubbi che nutro al riguardo si leggano sulla mia faccia, sempre più contrita per quel bisogno fisiologico di cui sopra.
Mentre inizio a scrutare il tabellone con evidente difficoltà, il ragazzo mi osserva grato e fiducioso. La ragazza, invece, ha palesemente gli ingranaggi che girano in senso antiorario e non saprei dire perché. (E manco mi interessa, permettermi di aggiungere.)
“Scusami”, mi chiede: “questo treno che stai cercando si può prendere con il nostro biglietto?”
“Eh… it’s a word.” (Ovvero, ’na parola, nel senso romanesco del termine.)
Sto continuando a studiare quello strano biglietto che la lady ha in mano, mentre il gentleman inizia – e questo me la dovrebbe dire lunga – a sudare freddo.
Giuro, io non so cosa sia quel biglietto che hanno in mano. Orario? Integrato? Onnicomprensivo? Ferroviario? Giornaliero? Non lo so, non l’ho mai visto, io conosco solo la tessera della metro A.
Più la tipa si innervosisce, più mi verrebbe da dirle quello che diceva la mia compagna cinese delle medie, ovvero: “Aaah, i’n so’ bona… i’n so’ capace”.
Siccome sono dotata di raziocinio e sangue freddo, però, le chiedo dove l’ha comprato quel (cazzo di) biglietto, quanto l’ha pagato, cosa le hanno detto. Insomma, faccio la vaga… ma il potere dell’arronzamento scanzonato di Roma sud nulla può contro la fredda e analitica precisione anglosassone.
“Ho pagato 16 euro a un tipo che mi ha garantito che con questo biglietto sarei arrivata a Torino.”
E te sei fatta pija’ pel culo, darling: a costo di ripetermi, con 16 euro non arrivi manco a Frascati.
Questo, però, non glielo posso dire. Anzi, vista l’entità del mio bisogno fisiologico, tocca che mi sbrighi a trovare una risposta, prima pure che la lady mi tiri il Big Ben in testa.
Il punto è che io non so se con quel biglietto si possa salire su un treno oppure no. Fossimo a Londra o a Parigi, saprei spiegarle molto meglio come funziona con le zone o con la RER; ma qui a Roma… che ne so? Io mi reputo felice solo per il fatto che ogni giorno la metro mi riporti a casa sana e salva!
Decido pertanto che cercherò di salvare il salvabile con una supercazzola prematurata messa su in zona Cesarini: “Il treno che vi porterà da qui alla stazione Ostiense si prende con un biglietto ferroviario, quindi dovreste andare a quel rivenditore automatico e farlo lì…”
“Ma io ce l’ho già un biglietto!” La lady sta per perdere le staffe, me lo sento.
“Voglio sapere se va bene per arrivare a Torino!”
Aridaje con Torino! La situazione sta degenerando. Non riesco a capire se mi sento più nella barzelletta di quel signore che “andovai / ar cinema / a che vede / quovadis / e che vor dì / andovai”, o se più in piazza Duomo insieme a Totò e Peppino, con l’accento inglese al posto di quello napoletano.
“Come vi dicevo, lì c’è il riv…”
“Ma questo biglietto, eh? Questo va bene o no? Eh?!”
La lady urla, il gentleman ha perso le parole come Ligabue e io decido di confessare.
“Non lo so se va bene, signora. Però se vuole possiamo provare a chiedere alla biglietteria.”
La lady si gira bruscamente e con veemenza apostrofa il gentleman: “Vedi? Te l’avevo detto! Questi biglietti non vanno bene per andare a Torino! Perché li hai comprati?”
(Se sento un’altra volta la parola Torino faccio una strage. E tra parentesi, ma che cacchio ti urli?)
“Signora… non lo so se vanno bene, magari sì. Non sono sicura, venga. Proviamo a chiedere…”
“Lo sapevo! Lo sapevo!”
Niente. È inutile. Out of control, come dice Mick Jagger.
“Sai che faccio ora con questi biglietti?” (Oddio. Che fa?)
“Eh? Lo sai che faccio?” (Che fai?)
“Li strappo, ecco che faccio!” (Oddio, ma che davvero?)
“No, signora, aspetti…”
Niente, tutto inutile. Li ha strappati. Così, senza un vero perché, davanti agli occhi increduli miei e del gentleman, la lady ha trasformato 32 euro in mille pezzettini di carta svolazzante.
Guardo il gentleman per vedere se è allibito come me e direi che forse lo è anche di più. Senza proferire verbo, raccoglie armi, bagagli e burattini e si affretta a seguire la lady. Dove, non so. Ma senza fare altre domande, giro sui tacchi e vado a prendere la metro. Sulla banchina, mentre aspetto fiduciosa l’arrivo di un convoglio salvifico che mi riporti a casa, finisco accanto a un ragazzo very alternative con dreadlock, piercing e tatuaggi sparsi. Pittoresco, per carità, ma non quanto il suo vicino di cui mi accorgo un attimo dopo.
Si tratta di un senzatetto, o forse di un mendicante, o comunque di qualcuno che non ha proprio tutte tutte le rotelle al proprio posto.
“Giovane!”, gli chiede. “Tu capace salire sopra di me?”
Il ragazzo scosta i dreadlock dal viso e lo scruta con grande curiosità: “Come dici?”.
“Dico te, capace salire sopra di me?”
Il ragazzo non risponde, a me inizia a scappare da ridere. Il senzatetto ripete la domanda, il ragazzo non risponde, io rido proprio… e così via per un altro paio di volte.
Alla fine, il ragazzo cede e ammette: “No, non credo di riuscire a salire sopra di te”.
“Sì, tu puoi…”
“Ma no che non posso.”
“E invece sì!”
L’omino sorride con tutti e trentadue i denti che non ha più da tempo.
“Dio fa salire te sopra di me se tu mi da soldi.”
Ah, ecco. Adesso non rido solo io, ride anche il ragazzo con dreadlock, piercing e tatuaggi annessi.
“Va bene”, gli dice con un sorriso accondiscendente.
“Vediamo cosa ho in tasca e facciamo la prova.”
Il sorriso dell’omino raggiunge quota sessantaquattro denti (invisibili), mentre la sua mano si tende con entusiasmo.
“Ecco, guarda. Ho questi…” Il ragazzo ha trovato degli spiccioli, ma di non so quale valuta estera. “Però non sono soldi italiani, va bene uguale?”
“Va bene, va bene… Dio no conosce tutti soldi di mondo!”
L’arrivo della metro mi impedisce di vedere come farà il ragazzo a salire sopra l’omino alla modica cifra di qualche spicciolo estero dimenticato in tasca. E un po’ mi dispiace. La cosa positiva, però, è che la poesia della scena mi ha fatto dimenticare non solo la lady isterica di poco fa, ma anche lo stimolo impellente.
Quasi quasi, mi faccio un altro giro a Termini.