tennis vm 18

Tennis V.M. 18

Mattina di metà settembre: è il primo giorno di scuola e questo — come ogni provetto viaggiatore dovrebbe sapere — comporterà sicuramente degli imprevisti al mio viaggio di andata verso il lavoro. Sicuro, a palla; è solo questione di minuti prima che un fattaccio si verifichi davanti ai miei occhi.

E infatti, prossima fermata Re di Roma, uscita lato… destro.

La sento entrare dalla porta alla mia destra e capisco.

Per colpa della calca non la vedo, sento solo la sua voce… ma già capisco.

“Permesso? Mi fate passare? C’è spazio lì dietro?”

Potrei sbagliarmi (…nonostante la conclamata esperienza, un po’ di umiltà non guasta mai), ma questa voce si direbbe quella di una donna sulla cinquantina, inacidita da anni di un lavoro ripetitivo e senza via d’uscita che forse non l’ha mai soddisfatta realmente, che magari non ha mai avuto la fortuna di trovare l’uomo giusto e si è dovuta accontentare di un gatto maschio, per di più sterilizzato per non creare danni al divano di casa.

Mi sbaglio? Penso per cliché? Ho giudicato un libro da una copertina che, a voler essere precisi, non ho neppure visto? Staremo a vedere.

La richiesta di spazio di poc’anzi, dicevamo, non cade nel vuoto. Anzi, riceve immantinente una risposta forte e chiara. Proviene da una voce maschile: si direbbe quella di un ragazzo sulla ventina, probabilmente con quei benedetti capelli alla Errol Flynn che vanno tanto di moda adesso e che se la sente talmente tanto calda che quasi scotta.

Signori, questo è l’inizio di una spettacolare partita di tennis, trasmessa per radio.

“E’ arivata, aho. Ha parlato ‘a Reggina Elisabbetta.”

(Si tratta di Wimbledon, a quanto pare.)

“Prego? Ma come ti permetti?” Ovviamente, la signora non se la sente di accettare il regale paragone senza rispondere del tutto.

“E me permetto sì: sei ‘na cafona, ma nun te senti quanno parli?”

“Io?!”

“Sì, te. Apri bocca e tratti male ‘a ggente. Ma chi te credi da esse’?”

(Servizio, riposta di rovescio, clamorosa volèè a rete: sono curiosa di sapere chi la spunterà e, per gli interessati, si accettano scommesse.)

“Chi mi cre… Oh, io sono una persona adulta, più grande di te e solo per questo mi devi portare rispetto. Non te l’hanno detto i tuoi?

“Sè… ma statte zitta va’, ché è meglio!”

“Eh? Ma statte zitto te!”

Per un attimo, lo scambio si placa sull’ultimo, tautologico botta e risposta che sembra aver messo fine al match. L’esperienza, però, mi dice che — a meno che uno dei due non sia sceso a San Giovanni e io non me sono accorta — è presto per cantar vittoria.

Scruto la calca in cerca di un segno, di un movimento, di un riflesso nei finestrini che mi possa aiutare a intuire la situazione, ma il primo segno di vita dei miei due vivaci amici è ancora una volta vocale.

“Aridaje!” Errol Flynn de noantri sembra ancora più infastidito di prima. “Aho, ‘a prossima volta pija ‘n taxi che è mejo!”

“Ma la fai finita?”

“Ma falla finita te…”

(Attenzione, questa voce è una new entry: che stia per iniziare un doppio misto?)

“Ché nun lo sai che ‘n se litiga coll’òmini?”

Peccando forse di scarsa immaginazione, mi ritrovo subito a pensare che si tratti della fidanzata di Errol. Nel mio quadro mentale si compone come più bassa di lui, con i capelli castani, lunghi e ricci, e con una borsa di tela dalla tracolla piuttosto lunga. Non parla un dialetto strettissimo come lui, ma tutto sommato j’a’ammòlla.

“Me lo sta ricordando perché lo sa anche lei, che sono tutti stronzi?” Che stile, che sciccheria: dare del lei alla fanciulla per ricordarle quanto sia diversa dal troglodita con cui si accompagna. Dato il soggetto c’è da dubitare che lo capisca, ma — di nuovo — se volete puntare si accettano scommesse. Chi incasserà il 6–0, 6–0?

“Sì, ma ‘o sai che c’è? Che loro so’ stronzi, ma sei ‘na gran bella stronza pure te…” In effetti era davvero difficile che lo capisse sul serio.

“Ma stronza ce sarai. Te e tutti quelli der palaz…” Complimenti, signora, si nasconde in lei un ghepardo de ‘na vorta di cui non avrei mai sospettato. Peccato che Errol non le permetta di finire la ben nota invettiva e schiaccia a rete: “…stronza e pure ‘na gran mignotta.”

Per amor dello scambio, la signora non molla il colpo: “Sì, come quella bionda che te porti appresso.” Uffa, la tipa è bionda e non mora come immaginavo: come versione romana e impicciona dei precog di Minority Report, neanche ho iniziato e già ho fallito. Per fortuna, lo scambio procede talmente a rotella fotonica (cit.!) che non ho certo tempo per indugiare nella delusione personale. Si avvicina il tie break e io devo ascoltare; ascoltare e immaginare, possibilmente in modo verosimile.

“‘Na mignotta io?” La fanciulla, chiamata in causa, tenta di ribattere ma rispetto agli altri due è nettamente sotto tono. “A me mi sa che sei peggio te…”

“Guarda che te sbaji co’ tu’ madre…”

(Smash: signora, i miei complimenti!)

“Ah, mo’ ho capito… te nun sei stronza, sei proprio na gran coatta!” Persino Errol, ha dovuto fare un passo indietro di fronte all’ultima, rimarchevole affermazione.

“…Coatta come la donna tua, che te dà pure ragione…’sta po’raccia.”

“Sarò pure ‘na po’raccia, ma intanto te l’avevo detto da subbito che coll’òmini nun se litiga. Ma tu no, nun m’hai voluto da’ retta, c’hai ‘ntignato e guarda com’è finita: te sei fatta sentì da tutti qua dentro.”

Silenzio.

Cavolo, la biondina ha piazzato quest’ultimo rovescio lungolinea proprio quando nessuno se lo aspettava e la cara, amabile signora ha incassato il set point. Quasi mi dispiace, non sentendola più replicare. Non sento più lei, non sento più Errol, non sento più nulla e sono un po’ triste perché avrei davvero voluto pagare le scommesse piazzate, ma senza un esito definitivo dello scontro non posso.

(Tra l’altro, nel frattempo, sono quasi arrivata a destinazione e non vorrei mai scendere da questo vagone senza averli visti in faccia, senza aver sentito la conclusione di questa faida, senza aver visto scorrere il sangue.)

Prossima fermata Lepanto, uscita lato… sinistro.

“Uh, meno male che so’ arrivata…” Yes, she’s back… Back again… Grande signora! “Fammene anna’ prima che me succede qualche artra cosa, che qua manco so’ le dieci e già me so’ ritrovata mignotta solo pe’ ave’ chiesto permesso.”

Ed è gioco, partita, incontro.