The Boss is coming to town

Mattinata di inizio marzo, il 16 luglio è ancora molto lontano. E ’sti cazzi, direte voi, non cogliendo la rilevanza dell’associazione tra le due date. Ma rimedio subito e vi spiego.

Il 16 luglio 2016 è il giorno del concerto di Springsteen al Circo Massimo; oggi, invece, è il primo giorno in cui si possono acquistare i biglietti. Non vi devo starvi a spiegare – spero – il caos che ci sarà online: Ticketone che si impalla, bonifici bloccati senza apparente motivo, proprietari di Postepay che cercano di comprare un numero di biglietti superiore a quanto il Postepay Club consenta, gente che si indebita spendendo soldi che non ha, bagarini e hacker che collaborano allegramente parlando la comune lingua del dio denaro fraudolento.

In poche parole, oggi (ma solo oggi!) prendere la metro a Termini sarà una scampagnata, al confronto. Anzi – visto che Bruce stavolta non si è regolato con il budget, visto che al momento non ho un centesimo per comprare quei dannati biglietti e visto che per questo motivo il mio cuore è in frantumi – entrare a Termini oggi per me sarà come rifugiarsi in una nicchia protetta in cui nessuno riuscirà a farmi soffrire.

Valutazione errata. Come sempre. 
Forse perché i cittadini dell’Urbe sono tutti a casa davanti al pc a dare 100 svanziche pro capite al Boss del New Jersey o forse perché non sono ancora le 8 del mattino, la metro è stranamente tranquilla: riesco persino a sedermi, accanto a una donna in carriera con tailleur, tacchi a spillo, aspetto attraente e profumo molto gradevole.

C’è qualcosa in lei che mi suscita una simpatia istantanea, anche se a prima vista non capisco di cosa si tratti. Basta, però, che le squilli il cellulare perché non mi susciti più simpatia.

Rimpiango all’istante la vecchia cara suoneria dei Nokia, ora che sento partire i più che conosciuti accordi di Si e Mi, suonati a ritmo sostenuto e ossessivo, e quella voce calda che afferma di essere nato in America: una fan di Bruce, seduta accanto a me, proprio oggi.

Va’, che quando il destino ci si mette è proprio bravo, eh? (Booorn in the iuuu-ess-eiii, ai uos booorn in the iuuu-ess-eiii nau!)

Naturalmente, questo è solo l’inizio e si capisce che la telefonata sarà tutto un programma: peccato che io senta solo il versante di qua, perché anche quello di là non deve essere niente male…

“Buongiorno amore… Sì, ti avevo chiamato… Beh, se hai la notifica, evidentemente è così… non ti pare?”

Signorina Rottenmeier is in the air, eh? Se continua così, finisce che io Bruce me lo scordo facile facile.

“Sì, no… Certo… ma infatti. Solo che… Ecco, bravo: lasciamo perdere. Vuoi sapere perché ti ho chiamato e andare avanti con le nostre vite, o preferisci portare avanti la polemica senza grandi risultati?”

Mbè? Ma che discorsi sono questi? Ma ringrazia il cielo che il tuo compagno al telefono non ha modo di venire qui con il teletrasporto e darti un cazzotto in faccia, più che altro! E stai anche attenta, perché tra cinque minuti verrà voglia a me di dartene uno e in genere, quando capita, lo faccio. Chiedetelo a quel ragazzino cicciottello che veniva in vacanza nel mio paese quando ero piccola!

“Senti, chiama in ufficio e di’ che entri dopo.”
(Puoi? Per favore? Grazie? No, le vecchie maniere sono passate definitivamente di moda, temo.)

Passa giusto quell’istante in cui, molto probabilmente, dall’altro capo del telefono lui domanda cosa ci sia da fare di così urgente da dover entrare tardi al lavoro.

“Ma che me lo chiedi pure? Bisogna comprare i biglietti del Boss!

Dalla faccia della tipa, secondo me lui ha risposto: “E sti cazzi?”. (Come sopra, esatto!)

“Ma come? No, ci devi andare per forza. Amore, ma dico, lo sai che io non posso…”

Probabilmente, il gentile consorte starà argomentando qualcosa sul fatto che come non ci può andare lei, anche lui ha dei problemi al riguardo. Sinceramente, non mi stupirebbe. Santa pace benedetta, ma che non lo sapete che siamo nel 2016? Ormai per entrare un’ora dopo in ufficio devi chiedere il permesso in carta bollata, pelle umana, sangue di pipistrello e pure così non è mica facile che te lo diano!

“No, amore, no… Sì, ho capito che devi dare il cambio a quello che smonta dalla notte… No, no… E dai, ma come faccio?! Ho una causa tra mezzora!”

Oddio, fa l’avvocato. Anche senza sapere se sia civile o penale – con tutto il rispetto per la categoria – mi sento di scommettere che a comprare i biglietti il poveraccio ci andrà eccome(Quasi quasi, gli chiedo se li prende pure a me. Magari mi anticipa pure i soldi, in un modo o nell’altro glieli ridarò.)

“Allora, ascoltami bene perché mi sto innervosendo.”
Ahia, il tono ha fatto paura anche a me.

“Io non capisco cosa ci sia di complicato. Esci, prendi il motorino, passi alla ricevitoria, fai un po’ di fila perché oggi è inevitabile, compri, paghi e vai a lavorare. Che dici, je la puoi fa’?
Tesoro mio, qua mi sa che è una questione di volere, più che di potere. E ahimè, secondo quanto recita il vecchio adagio, se le due azioni non coincidono, i biglietti del Boss rimangono dal tabaccaio.

In teoria potrei anche farglielo presente, ma – vostro onore – ritiro l’obiezione insieme a un altro sottile interrogativo: Bella mia, ma con tutti quegli iPod, iPad, iPhone e iWatch che hai per le mani… Ma fare due clic online e cacciare la carta di credito, piuttosto che martoriare quel poveraccio… no, eh? (Chi si fa i cazzi suoi campa cent’anni, giusto? Ecco, allora famme sta’ zitta e vediamo se è vero.)

“No, senti amore, per favore. Non cominciare…”
Silenzio. Occhio sbarrato. Lunga inspirazione a cui non può che seguire la filippica delle grandi occasioni.

“Come?! Non devo cominciare, io?! Ma io comincio e finisco pure e se serve riparto anche da capo, guarda. Ti sto dando l’opportunità di andare a sentire il concerto dell’anno e l’unica cosa che ti chiedo in cambio…”
Silenzio. Bocca spalancata. Mancanza di pronta risposta.
(E che cazzo mai gli avrà detto?)

“Come?! Springsteen ti fa cagare?!
Silenzio. La rivelazione ha scosso l’intero vagone, ancora prima di lei.

“Ma… Perché non me lo hai mai detto?!”
Eh già, perché? Ormai lo vogliamo sapere tutti ed è per questo che nel silenzio più totale si sente distintamente la voce metallica del malcapitato confessare attraverso il telefono: “Perché sennò sai che pippone infinito che mi attaccavi?”.

Il colpo è mortale e la groupie avvocatessa lo accusa in maniera devastante, capo reclinato, mano fra i capelli, bocca che si muove a scatti senza riuscire ad articolare alcun suono.

Non saprei dire se soffre di più perché non avrà i biglietti del concerto, perché suo marito le ha mentito o per la gravità della recente scoperta.

“Pronto? Pronto?”
(Secondo me il marito lo sa che cazzo di danno ha combinato. Anzi, secondo me si sta sincerando che la consorte sia ancora viva. Signori, quest’uomo rischia seriamente il gabbio per ergastolo e non mi stupirei se a trascinarlo al banco degli imputati fosse lei stessa dall’aldilà!)

Dopo qualche secondo lungo un’eternità, l’amica rockettara si ricompone. Scuote il capo, tira indietro i capelli, stringe nel pugno un lembo della gonna nera, poi sospira e parla.

“Il pippone te lo attaccherà tua sorella, se permetti. Adesso, per cortesia, sali su quel cazzo di motorino e vammi a comprare un biglietto per Springsteen. Sì, uno solo. Non fare domande e soprattutto non ti mettere la maglietta con le patacche, ché fa schifo… Grazie, ora ti saluto perché devo scendere.”

Lepanto, uscita lato… Sinistro.
(Scendo anche io, ché mi sa che dal giudice di pace ci andiamo insieme.)

(Tratto da una storia realmente accaduta a Tiziana P., lettrice di “Giulia sotto la metro”.)