Arco di Travertino.
Lui avrà 15 anni, la madre un po’ di più.
Seduti di fronte a me, discutono animatamente della gravità degli attentati contro le moschee. In particolare, lui è molto interessato a quelli compiuti da un kamikaze in Nuova Zelanda, di cui ha visto un video in rete.
“Ce pensi, ma’? Questo è popo ‘n grosso: s’è messo ‘na go-pro ‘n capoccia e s’è fatto esplode insieme a tutti quelli che ‘n poteva vede’!”
“Ma che dici!” Secondo me, la madre non sa se essere contenta perché suo figlio sia aggiornato sull’attualità, o preoccupata per la sua infatuazione verso l’attentatore. “Sono morte un sacco di persone, te ne rendi conto?”
“Embè? Je sta bene!”
Segue sguardo terrorizzato della signora verso gli astanti, per capire se ci stiamo chiedendo che accidenti di educazione lei gli abbia dato.
(Ma noi siamo meglio di così, signora mia.
Noi moriamo dalla curiosità di sapere dove stia andando a parare suo figlio.
E, a occhio, facciamo bene.)
“Ma… je sta bene in che senso?”
“Ma n’hai visto quanto so’ strani quelli? A me, me pàrono tutti matti!”
“E per questo devono morire?”
“Beh, mo’… mori’ magari no, peró certo che quanno tirano fóri ‘o zerbino e se mettono a prega’ ‘ndo capita… Aho, pure ar centro commerciale n’ho visto uno!”
“Certo, è diverso da come facciamo noi… ma questo non vuol mica dire che sia sbagliato; non pensi che anche a loro possono sembrare strane le nostre chiese?”
“Eh, appunto. Noi qua si volemo prega’ annamo in chiesa, ‘ndo ce sta er prete, le monache e altra gente che prega. Mica annamo a rompe’ er cazzo all’altri.”
(Potrei sbagliarmi, ma direi che la signora comincia a vacillare di fronte alle perentorie considerazioni del figlio.)
“A ma’… e pensace n’attimo. ‘O sai com’è quanno se mettono sullo zerbino ar centro commerciale?”
“No. Com’è?”
“Ecco com’è. È come se io vado ar paese loro, me metto in mezzo alle bancarelle der mercato e comincio a canta’:
VIII-VAAA-DIII-OOOO!!!”
Le braccia sono stese in fuori a croce, le mani battono a tempo, il coro è il più popolare tra quelli da stadio. E io penso di essermi innamorata di questo giovane hooligan teologo, che la madre continua a guardare inquieta mentre io scendo alla fermata di Colli Albani.
(Tratto da una storia realmente accaduta a Chiara F., lettrice di “Giulia sotto la metro”)